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Un contributo alla discussione dalla rete toscana...
Publie le domenica 19 ottobre 2003 par Open-PublishingAi fratelli e alle sorelle del Movimento delle e dei disobbedienti.
Crediamo che il dibattito che in questi giorni si sta aprendo all?interno del
movimento delle e dei disobbedienti racconti una rinnovata voglia di
raccontarsi eri-conoscersi, anche nelle reciproche differenze, racconti il nostro essere
movimento, dentro una continua ricerca e sperimentazione. Camminare
domandando:capaci di ascoltarci, disposti e disposte ad accogliere le suggestioni, le
domandeche ogni nodo della nostra rete pone, convinti e convinte che
l?autosufficienza, ilripiegamento identitario siano il contrario di quello spazio pubblico che
è ladisobbedienza costruita tutte e tutti insieme in questi anni.
Queste sono anche le cose che ci direbbe Giacomo, il nostro fratello
tenuto per tregiorni a Regina Coeli e ora agli arresti domiciliari nella sua casa ad
Arezzo. Ilsuo corpo rinchiuso ed umiliato, ma il suo cuore e la sua mente protesa
verso lanostra comunità, ansioso di discutere e confrontarsi sulla fase che il
movimento deimovimenti, e al suo interno il nostro movimento, attraversa, soprattutto per
continuare a camminare insieme lungo quel percorso che dal laboratorio
Carlini inpoi ci ha visto protagonisti.
Ci auguriamo che questo dibattito si moltiplichi non solo in rete, ma anche
attraversando le nostre comunità e i nostri spazi, perché semplificazioni,
scorciatoie o vecchie ricette ci farebbero solo del male.
La potenza della nostra esperienza, la sua capacità di essere non solo
stimolo, maveicolo di innovazione ed avanzamento per tutto il movimento, è stata in
gran partenella nostra volontà e capacità di attraversare e di essere attraversati, di
contaminare e contaminarci, di invadere e destrutturare prassi e linguaggi
consolidati, di distruggere e rovesciare luoghi comuni ed assetti politici
chesembravano scontati, di sottoporre a critica categorie che apparivano dogmi
immutabili, insomma di essere imprevedibili.
La scelta che abbiamo fatto di chiamarci movimento e di essere una rete è
stata unascelta giusta, che in questi anni ci ha reso la parte più vitale e
dinamica delcosiddetto movimento dei movimenti, con un allargamento effettivo in numerosi
territori e con la nascita di nuove esperienze. L?essere rete costituisce
per tuttie tutte una scommessa continua e una sperimentazione di forme di democrazia
radicale, un impegno di autoresponsabilità. Nessuno e nessuna richiede o
vuole lacostituzione di un ?plenum?, ma occorre un salto qualitativo nelle forme di
discussione a livello nazionale in cui tutte le reti e la pluralità dei
soggettipossano essere protagonisti. Ciò comporta un impegno di partecipazione da
partedelle singole realtà, ma anche una pratica condivisa di orizzontalità, per
cui laparola rete non diventi un modo per evitare il confronto, rivendicando solo
autonomia, ma sia per tutti e tutte circolazione, diffusione, condivisione
di ciòche stiamo costruendo. Un punto di forza delle nostre pratiche, da Genova
in poi, èstata la conoscenza e la consapevolezza da parte di ciascuno e ciascuna
delle azioniche avremmo messo in atto, consapevolezza costruita attraverso la discussione
pubblica, e che hanno costituito sempre un passaggio importante non solo
per lademocrazia interna ma anche per la crescita della determinazione nell?azione.
Crediamo che negli ultimi appuntamenti nazionali ciò sia mancato, e che da
questopunto di vista sia cosa positiva e necessaria ripartire dallo spirito di
Genova.In questi anni abbiamo violato mille zone rosse, con i nostri corpi e con
le nostreintelligenze, mettendoci in gioco, cercando ogni volta di muoverci sul
binario delconflitto e del consenso. Abbiamo dato importanza al messaggio, al senso, al
linguaggio e all?immaginario che volevamo creare con le nostre azioni,
proprioperché questo fosse compreso, e diventasse riproducibile anche in forme
diverse daquelle da noi praticate. Il Trainstopping è stato proprio questo: la
moltiplicazionedella disobbedienza sociale contro la guerra globale permanente, la
produzione dinuova legalità contro l?illegalità dei treni della morte. L?essere rete ha
permessoche in tutta Italia si moltiplicassero le azioni di disobbedienza,
bloccando itreni, invadendo gli aeroporti, colpendo gli interessi economici della
guerra. Tuttociò non avrebbe avuto quella potenza, anche di immaginario, se non avesse
vistoprotagonisti con noi ferrovieri, macchinisti, cittadine e cittadini.
La ricerca di senso, la sperimentazione di pratiche in grado di sprigionare
conflitto e di produrre il consenso, inteso non come unanimismo ma come
processocostituente per la trasformazione, le abbiamo sempre intese nelle azioni
che abbiamoprodotto non come fini a se stesse. Rapportarsi con il movimento dei
movimenti nellasua forma moltitudinaria è stato per noi un percorso naturale, ma che
talvolta ci havisto poco lungimiranti come nel caso del Forum Sociale Europeo di
Firenze.
Questaautocritica, che in più momenti ci siamo fatti e fatte, ha senso se la
riusciamo atradurre in prassi concreta, come si è fatto a Riva del Garda e come
dovremo farenei prossimi appuntamenti, a partire da Saint Denis.
Come movimento delle e dei disobbedienti abbiamo cercato di aprire spazi
pubblici disperimentazione e di conflitto radicali ed includenti, in grado di parlare
al e colmovimento, con i soggetti sociali reali. Abbiamo inteso la disobbedienza
come spaziopolitico che coinvolge e si allarga, come anomalia che vogliamo propagare e
diffondere. La disobbedienza è vincente fin quando è in grado di
comunicare e diparlare ad altri ed altre.
Non esistono apriori parametri per prevedere l?efficacia e la
comunicatività diun?azione, soprattutto nello scenario ultrarepressivo e criminalizzante in
cui citroviamo ogni giorno ad agire. E? il percorso e i passaggi con cui
costruiamo lanostra pratica sociale che però fanno la differenza, e su questi occorre
che fra dinoi vi sia chiarezza e condivisione. Anche per queste ragioni crediamo che
nel corsodella giornata del 4 ottobre vi siano stati passaggi di sperimentazione ma
ancheelementi di produzione di immaginario e di senso che abbiamo sentito come un
arretramento nel nostro percorso di ricerca in quanto non efficaci né dal
punto divista comunicativo né da quello dell?inclusione e della conflittualità.
Siamo
d?accordo con chi dice che non possiamo costruire artificiose e pericolose
divisionifra ?azioni buone? e ?azioni cattive?, ma sentiamo dirompente il bisogno
che sipossa discutere pubblicamente e soprattutto serenamente, nell?ambito cioè
di unpatto di fiducia e rispetto reciproco, nel merito dell?efficacia e delle
modalitàdei momenti di conflitto che mettiamo in campo. In merito alla possibilità
e allospazio che è stato aperto all?interno del nostro movimento dall?azione delle
compagne, crediamo che sia una sfida, per tutti e tutte, quella di porre come
fondante delle nostre relazioni e delle nostre pratiche la questione di
genere.Riteniamo, quindi, che sia una priorità lo sviluppo e la moltiplicazione
di momentidi discussione e di riflessione su tali tematiche, e su come le
ritraduciamo neinostri luoghi e nel nostro agire.
Siamo convinti e convinte, inoltre, che limitarsi ad un attacco alle
burocraziesindacali, come avviene nel documento del 5 ottobre, sia un passo indietro
non solorispetto a quanto abbiamo già fatto, ma soprattutto rispetto all?autunno
che ciattende. Se è indubbia l?insufficienza e l?arretratezza della piattaforma
di Cgil,Cisl, Uil ciò non ci può e non ci deve bastare. Dobbiamo immaginare e
praticarenuove forme di generalizzazione dello sciopero, capaci di mettere e
mettersi in retecon il precariato sociale, con quel lavoro cognitivo ipersfruttato e nella
maggiorparte dei casi ancora nascosto ed invisibile.
Attraversare lo spazio
politico del 24ottobre e generalizzare lo sciopero del 7 novembre come momento
costituente è pernoi un passaggio importante, un spazio di conflitto sociale reale, anche se
contraddittorio, da caratterizzare con le nostre forme e con la nostra
autonomia,reclamando diritti e reddito.
Il quadro in cui operiamo mira a bollare qualsiasi forma di insorgenza
sociale e diribellione come ?associazione a delinquere?, come ci mostrano gli attacchi
contro ifratelli e le sorelle di Action a Roma e i disoccupati napoletani. Proprio la
portata dell?attacco deve farci riflettere. Nel momento in cui nei nostri
territoririusciamo a ritessere i fili fra soggetti reali, a partire dai bisogni, la
produzione di conflitto e consenso si esprime in tutte le sue potenzialità, e
parallelamente l?apparato repressivo ricorre a tutti i suoi strumenti per
fermarci.L?abbiamo detto tante volte: disobbedienza è fare società, il che significa
praticare e diffondere quella che i potenti del nostro paese chiamano
illegalitàdiffusa, e che per noi è invece costruire concretamente e quotidianamente
un altromondo possibile.
In questo piccolo contributo ci siamo voluti e volute soffermare su di noi, e
abbiamo tralasciato di affrontare la fase che sta attraversando il
movimento deimovimenti che investe in pieno, in quanto ne siamo una parte, il movimento
delle edei disobbedienti.
Ci premeva in primo luogo dare un contributo, credendo anche che la
convocazione diun momento di discussione di tutti e tutte sia per noi una priorità.
Rete toscana delle disobbedienze
(Contributo alla discussione dall?assemblea regionale di Pisa dell’11
ottobre, a cuihanno partecipato le città di: Arezzo, Firenze, Grosseto, Lucca, Massa, Pisa,
Pistoia, Prato, Siena)