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Un punto di vista diverso su Ginevra

Publie le mercoledì 3 dicembre 2003 par Open-Publishing

Riprendiamo da "Guerre e pace" una lucida analisi sugli "Accordi di Ginevra", fuori dal coro di
esaltazioni del "passo decisivo per la pace".

TESTO E CONTESTO ISRAELIANO DEGLI ACCORDI DI GINEVRA
Shiko Behar e Michael Warschawski - 24.11.2003

Shiko Behar è direttore del Alternative Information Center (Aic) - organizzazione
israelo-palestinese con sede a Gerusalemme e Beit Sahour; Michael Warschawski è co-presidente dell’Aic.

Gli accordi di Ginevra - l’ultima cornice non ufficiale per la pace israelo-palestinese - resi
pubblici a metà ottobre del 2003, non sono diventati la base per i negoziati ufficiali. Ma
l’iniziativa su un aspetto ha già avuto successo: ha suscitato tante voci di speranza e altrettante di
protesta, tra gli israeliani e i palestinesi, anche se il governo israeliano li ha respinti e
l’autorità palestinese non li ha formalmente sottoscritti. Gli accordi di Ginevra - essenzialmente una
riproposizione del piano di pace presentato dal presidente Clinton alla fine del 2000 - stabiliscono
diversi principi base su cui costruire un accordo di pace permanente.
L’iniziativa di Ginevra richiede una seria valutazione critica da parte di coloro che sono
interessati a una pace duratura - una pace la più giusta possibile - tra israeliani e palestinesi. I
negoziati hanno coinvolto un consistente numero di importanti personaggi, guidati da Yossi Beilin, ex
ministro nel governo laburista israeliano, e Yasser Abed Rabbo, fino a poco fa ministro degli
affari di gabinetto dell’autorità palestinese e uno dei maggiori rappresentanti nei passati colloqui
ufficiali. Fino ad oggi, gli accordi di Ginevra rappresentano il documento più avanzato su cui si
sia trovato un accordo tra politici palestinesi e israeliani di alto livello. Comunque, in un modo
che ricorda le iniziative dell’epoca di Clinton, questo documento, apparentemente coraggioso, è
intrinsecamente debole. Ed è anche presentato in maniera ingannevole - e quindi votata alla
sconfitta - dai suoi firmatari israeliani.

DOPPIA URGENZA

In base agli accordi, Israele è autorizzata a legalizzare e mantenere insediamenti nella
Cisgiordania occupata (che ospitano oltre 300.000 coloni), inclusi tutti gli insediamenti ebraici costruiti
dopo il 1967 nella parte orientale araba di Gerusalemme. In cambio, i palestinesi ricevono da
Israele, quale compensazione, territori equivalenti. I palestinesi avranno la garanzia della sovranità
sui territori scambiati e sulle restanti parti di Cisgiordania e Gaza, inclusi i sobborghi arabi
di Gerusalemme est. Questa entità sovrana palestinese rimarrà smilitarizzata. La sicurezza del
Monte del Tempio/Spianata delle Moschee, luoghi sacri di Gerusalemme, sarà garantita da una forza
internazionale permanente, mentre per gli aspetti non riguardanti la sicurezza questi luoghi saranno
sotto controllo palestinese; sarà garantito agli ebrei il pieno accesso al sito. I palestinesi resi
profughi nel 1948 riceveranno risarcimenti, mentre sarà esclusivamente a discrezione israeliana
decidere a quanti rifugiati, sul totale di oltre 4,1 milioni registrati dall’Onu, sarà permesso di
ritornare nelle loro case in Israele.
Questa clausola rappresenta un forte compromesso da parte palestinese rispetto al diritto al
ritorno dei rifugiati - pur non trattandosi del suo totale abbandono. Al riguardo, l’opposizione agli
accordi tra i palestinesi è legittima non solo da un punto di vista politico e morale, ma anche dal
punto di vista - ad essi favorevole - dei diritti umani e internazionali. Per giustificare questa
concessione, i palestinesi che hanno partecipato ai negoziati di Ginevra sottolineano una duplice
urgenza, che in questi momento prevale su altre questioni nell’arena politica israelo-palestinese.
La prima urgenza è che sta scadendo il tempo per arrivare a una soluzione negoziata: nel prossimo
futuro potrebbe non esserci più nulla di sostanziale da negoziare, dati i continui insediamenti
israeliani nei Territori occupati e la costruzione del muro all’interno della Cisgiordania, che sta
di fatto rafforzando un sistema di "apartheid".
La seconda deriva dalla crescente convinzione tra le opinioni pubbliche palestinese e israeliana
che non esistano partner dall’altra parte e, quindi, i negoziatori palestinesi sostengono che
presto potrebbe diventare impossibile convincere palestinesi e israeliani che si possa raggiungere un
qualsiasi tipo di soluzione negoziata del conflitto.
I partecipanti israeliani ai negoziati di Ginevra condividono questa sensazione di duplice
urgenza; ecco perché giustificano l’importanza della loro iniziativa valorizzandone la potenziale
capacità di capovolgere la spirale di disperazione (di Israele), o perlomeno di frenarla.

LE LEZIONI DI OSLO

Benché le prospettive degli Accordi di Ginevra siano incerte, un altro ministro palestinese,
Ghassan Al Khatib, ha risposto a diversi commentatori che tali accordi "stanno creando utili echi" in
Israele. Arrivando dopo tre anni di assenza di iniziative ufficiali da parte del governo Sharon, e
tra le critiche provenienti dal capo dello staff delle forze armate israeliane Moshe Yaalon e da
quattro ex dirigenti dei servizi di intelligence, l’iniziativa di Ginevra ha la potenzialità di
interrompere lo spostamento a destra dell’opinione pubblica ebraica israeliana. Ma le analisi sul
possibile impatto degli accordi devono tenere conto dell’esperienza degli accordi di Oslo del 1993,
che sembravano anch’essi promettere pace, e della loro disintegrazione nella seconda metà degli
anni ’90.
Molti di quanti pensavano che gli accordi di Oslo avrebbero prodotto una pace la più giusta
possibile, limitavano la loro analisi al testo degli accordi stessi, che li spingeva a presumere che
tali accordi corrispondessero alle aspirazioni minime del popolo palestinese.
Benché gli accordi non rispettassero queste aspirazioni minime, avrebbero comunque potuto
rappresentare un modesto punto di partenza per una pace israelo-palestinese che soddisfacesse i bisogni
basilari di israeliani e palestinesi (solo per quanto riguarda Gaza e Cisgiordania) - a condizione
che israeliani e palestinesi avessero inteso il testo ello stesso modo e provveduto a portare
avanti i negoziati in buona fede. Sfortunatamente non è stato così.
Se i negoziatori palestinesi sembravano sinceramente intenzionati a raggiungere quello che
definivano "storico compromesso" basato sulla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu - che
significava rinunciare a nulla di meno del 78% della loro rivendicazione storica dell’intero
territorio della Palestina mandataria - i politici israeliani usarono i documenti di Oslo per
consolidare ulteriormente il loro controllo coloniale sulle vite e la terra palestinesi: durante il
"processo di pace" le colonie esistenti si sono estese, ne sono state costruite altre e il numero dei
coloni è più che raddoppiato. Questi fatti portano a una sola conclusione: i primi ministri Yitzhak
Rabin e Shimon Peres intendevano sfruttare sin dall’inizio l’equilibrio asimmetrico tra le forze
dello Stato occupante israeliano e la società palestinese occupata per imporre all’Autorità
palestinese una concezione della pace basata sulla prosecuzione della dominazione.
Molti osservatori del processo di Ginevra trascurano il fatto che gli anni 90 in Israele sono stati principalmente un periodo di governo della sinistra sionista, e non del Likud e della destra ultra- nazionalista: tra l'elezione di Rabin nel 1992 e la schiacciante vittoria elettorale di Sharon sull'ex Primo ministro Ehud Barak nel febbraio 2001, ci sono stati quasi sei anni di governo del Partito laburista con l'appoggio a sinistra del Meretz. Contrariamente alle percezioni prevalenti, è la sinistra sionista - invece della destra - ad avere la principale responsabilità del fallimento del "processo di pace" negli anni '90. Dato che gli accordi di Ginevra nascono dalla stessa "scuola" israeliana che ha prodotto gli accordi di Oslo, Beilin e soci avrebbero potuto accrescere la credibilità politica del loro nuovo processo di Ginevra se avessero ammesso pubblicamente il loro fallimento degli anni '90. Essi non lo hanno fatto, ancora una volta rifiutandosi di offrire all'opinione pubblica una spiegazione della nascita dell'Intifada diversa dal luogo comune dei palestinesi che avrebbero "scelto la violenza". Nel 1993, invece che cercare di convincere gli israeliani che stava per iniziare una nuova era basata sull'eguaglianza e sulla coesistenza pacifica, i leader della coalizione Labour-Meretz hanno bastato la propria strategia di marketing unicamente sulla sicurezza, sulla separazione dai palestinesi e la prosecuzione della supremazia coloniale israeliana. Tale leadership non ha voluto ammettere alcuna responsabilità israeliana o sionista per gli oltre cento anni di conflitto; al contrario, questa leadership ha consapevolmente legato (politicamente e verbalmente) il conflitto  al "terrorismo" e allo storico permanente rifiuto dei palestinesi. Ascoltando attentamente le personalità israeliane legate al processo di Ginevra - soprattutto quando parlano ebraico - è subito evidente che non hanno dimenticato il loro stesso fallimento di Oslo (o appreso qualcosa da questo). Per sostenere l'iniziativa di Ginevra, infatti, si rivolgono all'opinione pubblica israeliana con lo stesso atteggiamento e le stesse strategie di marketing. "REALISMO" E "GENEROSITÀ" Il testo degli accordi di Ginevra ha scarso significato al di fuori del contesto politico e giornalistico nel quale è stato "venduto" all'opinione pubblica israeliana. In pratica, la reale sostanza degli accordi sta nella "esegesi" verbale e scritta che circonda il testo degli stessi. Questo contesto di spiegazioni preannuncia già il fiasco politico cui sembra destinato il testo nel prossimo futuro. Un articolo pubblicato su "The Guardian" da uno dei principali esponenti israeliani presenti agli accordi di Ginevra, il famoso scrittore Amos Oz, illustra queste posizioni. L'articolo di Oz, intitolato "We have done the gruntwork of peace" ("Abbiamo faticosamente lavorato per la pace") si basava su un articolo pubblicato precedentemente in ebraico in Israele. Oz spiega che i colloqui di Ginevra sono diversi dai passati rapporti israelo-palestinesi: per esempio, non vi è più discussione sul "diritto al ritorno dei profughi" ma piuttosto "una soluzione al problema dei profughi"; non c'è più discussione sul "ritorno ai confini del 1967", ma "una mappa logica che tenga anche conto della realtà presente e non solo della storia". Lettori ingenui potrebbero concludere che la logica sia una caratteristica mentale della sola sinistra sionista e che gli israeliani, al contrario dei palestinesi, non habbiano mai basato alcuna loro rivendicazione nazionale sulla storia. Il messaggio principale di Oz è il seguente: negli accordi di Ginevra i palestinesi hanno finalmente scelto di essere "realistici" e di rinunciare non solo al diritto al ritorno, ma anche alla richiesta di un completo ritiro entro i confini del 1967. Oz, che è uno dei principali "guru" del movimento israeliano "Peace Now", fa uno sforzo ulteriore per ribadire che è stata l'ostinazione palestinese a portare al fallimento di Oslo e del vertice di Camp David del luglio 2000; Oz sostiene che i pacifisti israeliani alla fine hanno avuto successo, convincendo gli irrazionali palestinesi che devono accettare i "paletti" stabiliti dalla sinistra israeliana. Questi "paletti", secondo un collega di Oz, rappresentano un grande sacrificio da parte sua, perché egli "è disposto a rinunciare a niente meno che una parte della propria fede religiosa, essendo pronto, con il cuore a pezzi, ad accettare la sovranità palestinese sul Monte del Tempio". E, ancora, Oz ricorre a un analogo simbolismo propagandistico, dichiarando: "noi cediamo la sovranità di una parte della Terra di Israele, dove rimangono i nostri cuori". Quali sono, allora, i principali problemi, per Oz e per la scuola israeliana di Ginevra che egli ben rappresenta, per quanto concerne l'opinione pubblica israeliana? Mancando della capacità di autocritica, Oz rafforza l'autostima di Israele e sottrae ai palestinesi la posizione di vittime, rappresentando sé stesso e Israele come le vere vittime; egli non fa alcun tentativo di comprendere gli enormi sacrifici fatti dalla sua controparte palestinese. La sua prosa rispecchia gli assunti sottostanti alle "generose" offerte di Barak ad Arafat a Camp David nel luglio 2002. Per convincere l'opinione pubblica israeliana, gli israeliani che hanno sottoscritto gli accordi di Ginevra devono mostrare - o così almeno credono - che gli israeliani "hanno vinto" e che i palestinesi "hanno rinunciato". Il maggiore difetto degli accordi di Ginevra è che la basilare nozione dei diritti umani e politici inalienabili del popolo palestinese è totalmente ignorata da Oz e soci, come nel caso degli accordi di Oslo. Seguendo Barak, Oz sostituisce il concetto di diritti con quello di carità - "se avessimo offerto loro nel 1967 quello che offriamo oggi...". Quando non è riconosciuto alcun posto ai diritti, e l'equilibrio delle forze favorisce in maniera così evidente l'occupante illegale, la vulgata corrente israeliana si legge in questo modo: i palestinesi hanno rinunciato ai loro obiettivi distruttivi (perché per Oz e la scuola di Ginevra "ritorno’ è una
parola in codice per significare la distruzione di Israele"), perciò noi, campo pacifista
israeliano, abbiamo deciso di essere estremamente generosi.

SISTEMATICAMENTE CONTROPRODUCENTE

A parte la sua valenza morale, gli argomenti di "marketing" del contesto dei partecipanti
israeliani a Ginevra sono controproducenti politicamente rispetto all’obiettivo di generare un cambiamento
dell’opinione pubblica israeliana. Se i diritti politici e umani non esistono e il conflitto
deriva dall’irrazionale determinazione palestinese di cacciare gli ebrei, come possono gli israeliani
credere che i palestinesi possano cambiare? E se i palestinesi cambiano solamente perché il campo
pacifista israeliano è stato abbastanza duro nel trattare con loro, allora perché non essere ancora
più duri e costringerli ad accettare la dominazione israeliana senza alcuna concessione di nessun
tipo?
Anche gli alchimisti politici del calibro della scuola di Ginevra non possono costruire fiducia
basandola sulla menzogna: per convincere l’opinione pubblica israeliana alcuni dei partecipanti di
Ginevra sostengono che, questa volta, i palestinesi hanno rinunciato al loro diritto al ritorno.
Una semplice lettura dell’articolo 7 degli accordi rivela che i palestinesi che hanno partecipato
ai colloqui di Ginevra sono davvero pronti a fare notevoli compromessi rispetto ai diritti dei
profughi palestinesi; in ogni caso, essi si sono spinti tanto oltre da rinunciare al "diritto al
ritorno", come stabilito dalla risoluzione 194 dell’Onu del 1948, dato che una mossa del genere
cancellerebbe immediatamente e totalmente la loro legittimità agli occhi dell’opinione pubblica
palestinese.
Coloro che sono interessati a una pace duratura - la più giusta possibile - tra israeliani e
palestinesi devono pertanto porsi una domanda: perché la scuola di Ginevra cerca di comperarsi
l’opinione pubblica israeliana sostenendo esattamente il contrario di quello che la controparte
palestinese dice alla propria opinione pubblica, in modo da ottenere il suo supporto all’iniziativa
congiunta? Il risultato finale del processo di Ginevra consisterà così in un ’accresciuta divaricazione
tra le letture di israeliani e palestinesi, preparando in questo modo ancora una volta il campo per
l’accusa israeliana, spesso rilanciata dai decani della stessa scuola di Ginevra, che i
palestinesi sono bugiardi.
Alcuni dei più cinici partecipanti israeliani al processo di Ginevra sanno perfettamente che
esiste una contraddizione esplosiva tra la lettura palestinese degli accordi e il modo in cui vengono
spacciati all’opinione pubblica israeliana. Questi israeliani sembrano credere che un’esposizione
falsata della posizione palestinese possa aiutarli a indurre gli israeliani a riportare il Partito
laburista al potere, dove troverà il modo per imporre gli "accordi". Ma i laburisti non
riusciranno a tornare al potere perché le loro politiche sono una pallida replica di quelle dei partiti di
destra. Le dimissioni dell’ultimo candidato laburista a primo ministro, Amram Mitzna, da presidente
del partito, - insieme alla rinuncia degli esponenti di sinistra del partito come Beilin e Yael
Dayan a formare un nuovo partito socialdemocratico - testimonia l’impossibilità di una seria riforma
del partito. In campo socio- economico, il Partito laburista sostiene posizioni neoliberiste
simili a quelle di Benyamin Nethanyahu, del Likud. In merito al conflitto arabo-israeliano,
parlamentari laburisti come il gen. Benyamin Ben Eliezer, Efraim Sneh e Dany Yatom sono probabilmente
peggiori di alcuni parlamentari del Likud. La questione per l’elettore medio rimane la stessa: perché
votare per una copia (laburista) quando si può votare per l’originale (Likud)?

CHE FARE?

Se sono davvero interessati per la loro popolazione a una pace sostenibile e praticabile, i
politici israeliani avranno in definitiva bisogno di presentare un piano di pace che abbia il sostegno
della base palestinese. A questo scopo l’opinione pubblica israeliana dovrà sviluppare una più
seria comprensione delle dinamiche sottostanti il conflitto arabo-israeliano.
Piuttosto che insistere su questa o quella clausola del testo degli accordi di Ginevra, gli
israeliani interessati a raggiungere una pace giusta e duratura devono immediatamente concentrarsi sulle
sincere spiegazioni scritte e verbali necessarie a contestualizzare in maniera produttiva questi
accordi. In primo luogo, gli israeliani critici devono dire all’opinione pubblica israeliana che il
conflitto non è la conseguenza del terrorismo o del fanatismo palestinesi, ma piuttosto il
risultato dell’espropriazione e occupazione israeliane; la responsabilità israeliana del conflitto deve
essere smascherata dagli israeliani stessi. I diritti umani e politici fondamentali dei
palestinesi, negati dalle politiche israeliane di occupazione e colonizzazione, devono essere riconosciuti in
ogni accordo che intenda raggiungere una pace giusta. Deve essere reso chiaro all’opinione
pubblica israeliana che la sola "generosa offerta" tra Israele e Palestina è la disponibilità da parte di
alcuni palestinesi di rinunciare al 78% delle rivendicazioni sulla loro patria storica.
Il diritto al ritorno è un diritto umano fondamentale. La volontà di alcuni palestinesi di
considerarlo oggetto di negoziato, tenendo in considerazione le preoccupazioni demografiche di Israele,
deve essere percepita come ulteriore generosa offerta palestinese. Gli israeliani critici devono
domandare ai concittadini - inclusa la scuola di Ginevra - come possano chiedere ai palestinesi di
rinunciare al loro diritto la ritorno prima ancora che gli israeliani ne riconoscano la stessa
esistenza.
Quello che è richiesto inoltre agli israeliani critici - e in definitiva ai politici israeliani -
è di promuovere seriamente una concezione positiva di pace basata sulla coesistenza e
l’eguaglianza. Deve essere decisamente rigettata - non solo per la sua iniquità morale, ma perché non ha
possibilità di funzionare - la concezione della pace di Oz e suoi soci di Ginevra, che intendono la
"pace" come mezzo per tenere i palestinesi fuori dalla loro vista - al di là del muro - e considerano
i palestinesi un pericolo esistenziale.
Come nel caso degli accordi di Oslo del 1993, negli accordi di Ginevra il contesto è molto più
importante del testo, tanto più per quanto concerne l’opinione pubblica israeliana.
(traduzione di "Guerre e pace" da "Middle East report" www.merip.org)

La redazione di Bandiera Rossa News