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Una risposta all’appello dei Disobbedienti sul/per il 24 ott

Publie le venerdì 17 ottobre 2003 par Open-Publishing

ciao a tutti/e

scusate la lunghezza, ma si tratta di temi non banalizzabili, nessuno

abbiate, quindi, un po’ di pazienza

vengo al sodo

Giammarco DePieri, a nome del Movimento delle e dei Disobbedienti, ha
rivolto all’insieme del movimento, e anche alla Rete di Lilliput, di cui
faccio parte, un appello, in vista della manifestazione (e dello sciopero
generale) indetta da CGIL-CISL-UIL per il 24 ottobre prossimo.

Mi pare che questo appello esiga e meriti una risposta, e giustifichi un
confronto non rituale.
A titolo personale, -ma con la ragionevole fiducia di affermare cose che
molti condividono, fuori e dentro Lilliput e il movimento- esprimo dunque
qui il mio pensiero.

I - Intanto, alcune cose sul metodo
La manifestazione di cui parliamo è indetta dai sindacati confederali,
unitariamente, e nella loro piena legittimità. Sembrerò pedante, ma non
credo siano cose secondarie.

Andare ad una manifestazione indetta da altri -indetta, ripeto,
legittimamente e nel pieno esercizio della loro "ragione sociale"-, e
andarvi sovrapponendo a quelli dei promotori i propri contenuti, le proprie
modalità, i propri obiettivi ed il proprio linguaggio, è una cosa
fuori dal nostro costume.
E’ una cosa -quel che più conta- fuori dal costume del movimento più in
generale.
A me pare che il movimento contro la globalizzazione neoliberista e contro
la guerra abbia guadagnato posizioni e consensi quest’anno, in Italia e nel
mondo. Non lo ha fatto con metodologie autoreferenziali, non l ha fatto
ostentando autosufficienza.
Lo ha fatto con la ricerca paziente e continua del dialogo con tutte le
forze disponibili.
Lo ha fatto anche, certamente, manifestando, al proprio modo e sui propri
obiettivi (sempre con modalità condivise),
ma quando esso stesso era il primo promotore delle occasioni di
mobilitazione.
Così è stato per il grande corteo di Firenze di un anno fa -conclusione del
FSE-, così è stato per quello ancora più grande di Roma del 15 febbraio.
Quelli sono stati e restano i punti più alti di consenso e partecipazione
che abbiamo saputo raggiungere, tutti insieme, su NOSTRI obiettivi che da
altri venivano riconosciuti e fatti propri.

Quando queste modalità -autonomia, trasparenza, modalità condivise- non sono
state attuate, i risultati sono stati immediatamente negativi: minore
partecipazione alle mobilitazioni, minore capacità di persuasione
dispiegata, minore l’ampiezza delle forze schierate con noi, e nuova esca
offerta a chi afferma l’equazione movimento=violenza, (una larga fetta dei
media nazionali, non dimentichiamolo per favore).Essendo tutte cose accadute
anche molto di recente, per esempio a Roma, il 4 ottobre, sarebbe ipocrita
tacerle.
Ebbene, sono cose estranee e contrarie a gran parte del movimento di cui i
disobbedienti pure affermano di essere parte.

II - Inoltre, ripeto, parliamo di una mobilitazione non in prima istanza
"nostra" -cioè non del movimento contro la globalizzazione neoliberista, o
contro la guerra- ma dei sindacati confederali.
Quanto è importante, per il nostro movimento, che fra i sindacati
confederali e fra tutte le persone che il 24 sciopereranno convinte, i
nostri temi facciano breccia?
Secondo me è MOLTO importante. E’ importante, tanto più quanto siamo e
restiamo da essi diversi -e per più di un aspetto, anche distanti.

Come ci si rapporta con forze diverse, che non fanno necessariamente parte
della nostra storia -che non erano né a Seattle, né a Genova, per dire- ma
che hanno o possono avere ALCUNI obiettivi comuni con noi?
La risposta a me non sembra così difficile, o strana. E’ in gran parte di
ciò che si è fatto, più o meno tutti nel movimento, almeno dal FSE di
Firenze ad oggi.
Non solo, sappiamo come si fa: sappiamo che si può raggiungere lo scopo. Lo
abbiamo già fatto, su più di un terreno. Abbiamo avuto risultati importanti
(straordinari, se facciamo mente alla consolidata tradizione di rissosità,
inconcludenza e autoreferenzialità della scena politica e di movimento
italiana) e in relativamente poco tempo (diciamo, due-tre anni, se datiamo
da Seattle).
Dobbiamo solo continuare su questa strada, mantenendo la fiducia nelle
nostre ragioni (che sono in non piccols misura ciò che è all’ordine del
giorno dei governi, dopo l’ennesimo nulla di fatto di un vertice WTO e dopo
il manifestarsi dei frutti del testardo interventismo USA in Iraq).
Molto semplicemente: i fatti ci stanno dando ragione. Non deve essere nostro
obiettivo principale -ora- far parlare di noi, quanto far parlare di quei
fatti: delle risposte che il potere globalizzante e di guerra pretendeva di
avere, e che non ha. Non ha nel modo più assoluto. Non ha nemmeno per molti
che a quel potere e a quei metodi han creduto fino a ieri.

III - Contenuti e significato dell’appello

E’ mia convinzione che i toni, il modo,
il linguaggio
e le proposte contenute nell’appello dei disobbedienti vadano nella
direzione di vanificare il fondamentale e necessario lavoro di tessitura di
dialogo e di terreni comuni fra movimenti e forze sociali diverse. Ma senza
questo lavoro di tessitura -dobbiamo esserne consapevoli- è illusorio
parlare di "cacciare Berlusconi". E’ del tutto illusorio.

La verità -se vogliamo parlare da persone mature, e non da bambini- è che
non solo CGIL CISL e UIL vanno sottratte al consenso di molti dei paradigmi
dominanti (il problema non è tutto e solo Berlusconi, ma cosa come e quanto
consumiamo, come ci spostiamo, cosa produciamo, come comunichiamo, eccetera
eccetera eccetera),
non solo i sindacati confederali dicevo, vanno sottratti al consenso al
modello dominante (oltre che consolidare la perdita di consenso di questo
governo, che in alcuni casi è recente o recentissima), ma anche altre forze.
Anche -per dirne una- parte, almeno, di quella che un tempo si chiamava
"classe media".
Professionisti, aziende, quadri, amministratori;
e ancora, persone non politicizzate d’ogni estrazione, eccetera eccetera
eccetera. Questo -anche- dobbiamo sentire come uno dei nostri obiettivi.
L’illusione di poter bastare a sé stessi è sempre stata la strada che ha
portato i movimenti alla sconfitta.
Ripeto:
l’illusione di poter bastare a sé stessi è sempre stata la strada che ha
portato i movimenti alla sconfitta (o le rivoluzioni a instaurare nuove
oppressioni).

Ho parlato di toni, linguaggio, e proposte. Farò commenti precisi a passi
precisi. I disobbedienti chiamano a manifestare per dare vita ad

<<Una piazza che sappia ribadire la necessità di re/inventare dal basso un
agenda politica di resistenza al neoliberalismo capace di rompere
definitivamente con il passato socialista e con le fallimentari e odiose
politiche economiche del centro sinistra>>

Ora, se "cacciare Berlusconi" è davvero un obiettivo, che senso tattico c’è
a sottolineare -qui ed ora- motivi di contrasto con alcune delle forze dell’
attuale opposizione? In questo momento l’obiettivo dovrebbe essere: cambiare
la finanziaria (al minimo), e far cadere il governo (più difficile, ma non
impossibile).
Rafforza questi obiettivi parlare -ripeto, qui ed ora- di "fallimentari e
odiose politiche economiche del centro sinistra"?
Ci è più utile che i giornali parlino dell’isolamento del governo, e delle
risposte -a tanti, anche suoi ex sostenitori- che non sa e non può dare, o
che parlino di divisioni in seno al campo dei suoi oppositori?

Faccio un esempio banale. La Francia è un paese sotto più di un aspetto
guerrafondaio e sciovinista. Fra i primi esportatori di armi nel mondo.
Responsabile di politiche neocoloniali ed oppressive, soprattutto in Africa.
Perché non uno di noi -non un disobbedienti, non un anarchico, non un
nonviolento assoluto, come Peppe Sini- ha Chirac a Bush e Blair, nelle
manifestazioni contro la guerra dei mesi scorsi? Non sarebbe stato
legittimo, e anche "coerente"?
Nessuno di noi lo ha fatto, forse, perché sarebbe stato tatticamente
controproducente, sterile, stupido. In quel momento, e per ciò che si stava
combattendo, anche il governo francese stava esercitando un ruolo utile.
Niente di più e niente di meno

Lo scenario di cui parliamo ora non è internazionale, ma il
paragone -mutatis mutandis- resta valido.
In questo momento, anche forze che hanno fino ad ora appoggiato la
globalizzazione neoliberista, anche forze che hanno in più di una occasione
praticato tagli alle spese sociali e attacchi ai diritti sul lavoro, in
questo momento ripeto, anche forze siffatte svolgono un ruolo utile. Anch’
esse fanno parte del coro dei NO a questa finanziaria. Niente di più e
niente di meno.
Vogliamo sputarci sopra? Fate pure, se proprio credete. Ma non coinvolgete
quanti nel movimento non condividono questo atteggiamento. Perché cosi
facendo quel movimento voi lo danneggiate.

Poi affermano:

<>
<<E non ci importa nulla che sia stato eletto, perchè, si badi, la
democrazia è una faccenda troppo seria per essere delegata ad un voto ogni 5
anni (.)>> e proseguono:

<<Vi proponiamo di insorgere e disobbedire contro questa sovranità odiosa
(.)>>.

Qui siamo ai passi più gravi.
Voler mettere il peso di una manifestazione di piazza davanti e sopra al
verdetto elettorale è irresponsabile, infantile, e -scusatemi, ma ha un po’
studiato- protofascista.
Dare a sentimenti -in quanto tali, comunque, personali e soggettivi- quali
l’odio e
l’insofferenza
dare a questi, dicevo, dignità di movente pubblico è (oltre che essere un
già visto dannunzianesimo di ritorno)
pericoloso, e un po’ irresponsabile.
Invito tutti a riflettere un attimo.

Abbiamo già a che fare,
più che troppo mi pare,
con persone, investite dei massimi poteri,
SENZA il crisma della vittoria elettorale sul campo.
Ricordo a tutti il modo in cui l’attuale presidente degli USA è stato
nominato.

Affermare che è INDIFFERENTE che uno governi essendo stato eletto
democraticamente, oppure no è stupido, irresponsabile, antidemocratico.
Forse che Lula da Silva, eletto dalla maggioranza dei brasiliani,
e Karzai, insediato dalle forze di occupazione USA a Kabul,
hanno essi la stessa legittimità?

Affermare che è INDIFFERENTE che uno governi essendo stato eletto
democraticamente o no è -fra le altre cose- un insulto per tutti coloro che
per la democrazia hanno lottato, ieri come oggi. (c’è chi è anche morto, per
quella differenza: nel ’22, nel ’43-43, e anche dopo.).

Non so quanto Gianguido abbiano riflettuto su ciò che hanno scritto. Credo
(e in un certo senso, mi auguro) non molto. Ma li invito a farlo ora,
comunque. Non è mai troppo tardi.

Sono probabilmente assediati da ossessioni negative e pericolose.
Hanno perso la fiducia che le loro ragioni e le loro azioni possano parlare
e convincere da sole, senza forzature e senza dover coprire altre voci e
altre presenze con delle mere "prestazioni", verbali o d’altro tipo (non è
ciò che hanno fatto a Roma il 4?).

Io non so se le cose stanno davvero così per il loro movimento. Se stanno
così, è il momento di accettare la crisi, e rimettersi in discussione.
Perché di seguito e di credito ne hanno avuto molto, in più di una
occasione. E nessuno glielo aveva regalato quel credito (certo, un pochino,
qualche media, ma non era la cosa essenziale).
Se lo erano guadagnato tutto loro. E loro lo stanno perdendo (se così è che
sta andando).

Hanno avuto buone visioni, buone intuizioni, in più di una occasione.
Le buone visioni e le buone intuizioni dipendono da sé. Si cercano e si
trovano in sé. Senza fretta, senza presunzione di onnipotenza, senza
accettare pressioni dall’eterno.. Non sono cose che si insegnano. Ma chi non
è più un bambino, può capire di cosa parlo.

Chi vuole davvero costruire qualcosa di nuovo non può fare a meno di buone
visioni.

Nell’adorazione della violenza, caro Gianguido, compiacerete certo più d’
uno, ma vi ritroverete con nulla in mano, alla fine. Con nulla in mano.
Con nulla in mano.

Avete il privilegio -non piccolo, credete- di poter chiedere a chi ha un po’
più di anni di voi, e ha fatto la stessa cosa: ha ceduto all’adorazione
della violenza. Ha creduto di poterla "gestire".
C’è stato chi lo ha fatto negli anni ’60.
C’è chi lo ha fatto negli anni ’70.
C’è chi lo ha fatto negli anni ’80..
E’ un film già visto. Chi lo ha usato, quel film, per suonarci la sua lira
dall’alto di dipartimenti universitari (magari esteri), forse lo rimpiangerà
(sono quelli gli esempi a cui vi ispirate? Guardateli: non sono che servi di
Sauron, riflettete e saprete che è così. Riflettete).

Quello della violenza è un film già visto. E fra chi vi ha recitato da
protagonista - e non è morto, e non è in carcere- non so quanti siano quelli
che pensano sia stata una cosa bella, e quanto sia utile cercare di
replicarla.

Mi sto facendo prendere la mano, scusate.
Torno subito al vostro appello.

L’invito ad "insorgere e disobbedire", specie dopo gli scontri di cui siete
stati protagonisti il 4 a Roma, (e su cui non mi pare che vi siate
ravveduti) mi sembra una spia, abbastanza trasparente, del voler ripetere
imprese simili (o se vogliamo, di non escludere di poterle ripetere). Se non
è così, bene (ma allora, siate meno avventati con le parole). Se invece è
proprio così, se vi preparate a ripetere giornate come quella del 4 ottobre,
vi invito ad astenervene.
Fareste il male vostro, e non solo vostro.

Per il bene e il successo vostro, della vostra causa, del movimento contro
la globalizzazione neoliberista e della lotta contro l’attuale finanziaria e
l’attuale governo: allontanate da voi la violenza: evocata, minacciata,
mimata, come che sia "gestita". Lasciatela a chi non sa non può o non vuole
usare altro che la violenza per manifestarsi ed esprimersi, che sono già più
che abbastanza. Nel governo, nei ministeri e nelle questure, nei posti di
lavoro, e in ogni altro luogo, sono più che abbastanza.
Ma sono e restano una minoranza
degli italiani. Devono sentirsi ed apparire la minoranza che sono. Come
Saruman, quando finalmente la sua Isengard, per la sua stessa bramosia,
viene distrutta. Non vi pare?

IV - La situazione

Il Presidente del Consiglio, onorevole Silvio Berlusconi, non è mai stato
nella sua azione di governo, così isolato come oggi. Buona parte della
stessa Confindustria è contro il suo ministro di punta, Giulio Tremonti
(Galapagos, sul manifesto di domenica). Le confederazioni sindacali tornano
allo sciopero generale, unite, contro la finanziaria. Nessuna delle promesse
fondamentali è stata mantenuta (crescita, occupazione, sviluppo al sud). Le
ricette attuate (taglio alle tasse, più "flessibilità" al lavoro) non hanno
creati nessuno degli effetti predetti e sperati (accumulazione, ripresa,
occupazione).

Vogliamo lavorare per raccogliere da tutto ciò dei frutti politici
(unificazione di lotte sociali su contenuti più avanzati -alcuni dei quali
voi fra l’altro indicate nel vostro appello; ulteriore isolamento del
governo in strati ancora più ampi di popolazione)
O vogliamo che la metà (o più) dei giornali del 25 possano parlare
soprattutto di scontri e di ordine pubblico?
Nell’uno e nell’altro caso, credo, sappiamo bene tutti cosa è bene fare e
cosa no.
Credo che dobbiate saperlo (e che lo sappiate) anche voi.
Come si usa dire, "chi ha giudizio, lo adoperi". Non stiamo giocando. Le
responsabilità che abbiamo -con le dimensioni e la visibilità che ha oggi il
movimento- sono grandi. Le forze in campo -e in gioco- sono molto più grandi
di noi.
Siamo -e restiamo- un po’ di piccoli Davide, a fronteggiare Golia.
Le nostre fionde sono le nostre parole, e le nostre mani, a indicare numeri,
volti, fatti, di un mondo che esistendo, resiste.

V- Il movimento e il futuro

La sfida non è affermare che il futuro -o addirittura il presente DEBBANO
essere NOSTRI. La sfida è far vedere (si tratta infatti di una realtà
visibile, non di un desiderio soggettivo).
Far vedere che il futuro non è e non potrà mai essere il LORO (di coloro che
detengono il potere, ora).
Questo si deve vedere e capire, perché questo dicono fatti, numeri, storie,
volti della crisi italiana, dello stato del mondo, del caos irakeno, del cpt
di via Mattei, eccetera eccetera.

E perchè tutto questo si veda, e di questo siano costretti a parlare, ciò
che noi facciamo e diciamo ha il suo peso. E non dobbiamo fare o dire cose
da stupidi
da immaturi da disperati che credano di non avere nulla da perdere.
Noi -tutti noi- abbiamo un credito crescente. Il fallimento di chi comanda è
il nostro credito.
Abbiamo credito. Più di quanto immaginiamo.
E non dobbiamo perderlo, questo credito, ma dobbiamo invece accrescerlo.
Dobbiamo e possiamo accrescere il nostro credito, e dobbiamo farlo adesso, e
ogni giorno.