Home > magistrati indagano sulla «lista delle spie»
di Enrico Fierro
E ora i magistrati della procura della Repubblica di Roma che indagano sul sequestro di Simona Pari, Simona Torretta e dei due ostaggi iracheni, vogliono sapere tutto. Vogliono ogni particolare su quella lista di spie stilata dall’intelligence americana e finita nelle mani dei terroristi iracheni, di cui ha parlato - a «Porta a Porta» - il commissario straordinario della Cri, Maurizio Scelli.
Esisteva quella spy-list, c’erano anche i nomi delle due Simone e quelli di altri italiani impegnati in Iraq (volontari, giornalisti, militari), chi l’ha compilata, e soprattutto come questa lista è arrivata nelle mani delle bande irachene? Si tratta di un passaggio delicato e importante dell’inchiesta. Ad allarmare i pm romani Franco Ionta, Pietro Saviotti ed Erminio Amelio, sono le modalità, giudicate «anomale» anche dall’intelligence, del sequestro. Quel giorno, il 7 settembre, i rapitori andarono a colpo sicuro, sapevano chi prendere, avevano una lista di nomi e fecero addirittura l’appello delle persone presenti nella sede di Bagdad di «Un Ponte per...». Solo quando furono sicuri che le due donne fossero effettivamente Simona Torretta e Simona Pari, conclusero il sequestro.
Un altro mistero riguarda l’ingegnere iracheno collaboratore di «Intersos». «Mi hanno preso - ha dichiarato ai giornali - perché pensavano che fossi un italiano che parla bene l’arabo». Quindi i rapitori cercavano un altro italiano (un fotografo o un altro volontario) i cui nomi, forse erano in quella lista. Per queste ragioni i pm stanno decidendo di ascoltare anche i due ostaggi iracheni. I due, Mahnaz Bassan, 27 anni, operatrice di «Intersos», e Abdul Aziz Ra’ad, 35 anni, ingegnere civile collaboratore di «Un Ponte per...», non sono stati portati in Italia apena liberati. «E questo è un grosso limite - avverte un investigatore -: quello che può dirti a caldo un ostaggio appena liberato è preziosissimo per le indagini».
Dietrofront. Sulla lista, ieri il dottor Maurizio Scelli ha tentato una sorta di marcia indietro rispetto a quanto affermato a «Porta a Porta» il giorno prima. «Non so - ha detto - se è vero che esista una lista di provenienza americana contenente un elenco di persone considerate spie, tra le quali Simona Torretta e Simona Pari. Ho soltanto riferito quanto mi è stato ribadito più volte dal mediatore durante le otto ore di attesa in una stanza chiusa. E cioé che i sequestratori consideravano spie le due volontarie italiane, poiché i loro nomi apparivano in una lista che sarebbe stata in loro possesso. Proprio perché non documentata, ma solo riferita, il mediatore ha richiesto al dotto Nawar che era con me, di giurare sul Corano che tale circostanza non rispondeva al vero». I toni e le parole usate nel salotto di Vespa il giorno prima sono del tutto diversi. Che i rapitori fossero convinti che le due volontarie fossero delle spie, lo hanno detto le due Simone anche nelle loro dichiarazioni ai magistrati e lo ha ribadito «Un Ponte per...» nella conferenza stampa di ieri. Fino all’ultimo le due ragazze hanno temuto di essere uccise. Ma c’è un altro mistero all’attenzione dei magistrati: il video della liberazione delle due ragazze.
Quello che milioni di persone in tutto il mondo hanno visto. Le due Simone con il volto coperto dal velo, sullo sfondo una moschea, Scelli che stringe mani, la luce del sole fioca. Come se fosse l’imbrunire. O l’alba. «Sul posto - ha detto il dottor Scelli nelle sue interviste di ieri - c’era un operatore con una piccola telecamera». Che non era di Al Jazeera, dice Imad Al Afrash, capo redattore esteri della tv: «Il video non è nostro, ci è stato recapitato». Da chi non si sa, a che ora neppure. Capire se quel video filma davvero la «diretta» della liberazione delle due ragazze è un punto fondamentale per le indagini. Ma molte cose non tornano. Forse il video è stato tagliato o manipolato. Secondo alcune indiscrezioni circolate ieri, la cassetta sarebbe stata girata all’alba di martedì, giorno della liberazione. Una ipotesi che, se confermata, aprirebbe scenari inediti sui tempi della liberazione delle ragazze e su quelli della realizzazione del video ora nelle mani del Ros dei carabinieri e della procura di Roma. I magistrati e gli esperti stanno anche analizzando una registrazione con la voce delle due ragazze fatta dai sequestratori e consegnata a Scelli. In inglese, le due ragazze pronunciano i loro nomi e cognomi e spiegano le ragioni della loro presenza in Iraq. Secondo indiscrezioni non si sentono altre voci.
Misteri e gialli. Tanti, quindi, i punti da chiarire e le dichiarazioni che spesso non collimano tra di loro. Per queste ragioni i pm hanno deciso di risentire il medico iracheno Isma Nawar, stretto collaboratore di Scelli, e i due ostaggi iracheni. La procura di Roma vuole capire quale ruolo abbia avuto nelle trattative. Infine, un piccolo giallo sulla pistola consegnata dai rapitori al dottor Scelli. Il quale non l’ha data subito ai magistrati mentre veniva interrogato dal pm Franco Ionta. Forse una dimenticanza dovuta allo stress. All’improvviso nella stanza del magistrato è entrato il collega Pietro Saviotti cui poco prima la Torretta aveva parlato proprio di una pistola. A quel punto, Scelli si è ricordato dell’arma e l’ha consegnata. Un equivoco chiarito subito per tanti ancora da chiarire.