Home > Il malessere nel governo di Lula
Dazibao Governi America Latina

di Leonardo Boff
La politica economica scelta dal presidente Lula ha creato un malessere innegabile
dentro e fuori il governo brasiliano. Il dibattito sulla sua politica è riassumibile
in due posizioni opposte, ciascuna con una sua logica coerente.
La prima si basa sui risultati macroeconomici ottenuti attraverso una politica
fiscale severa: la crescita economica è innegabile, l’inflazione e il valore
del dollaro sono sotto controllo, la relazione tra prodotto interno lordo e debito è migliorata
e il livello di occupazione sta aumentando (anche se al 54% di questi impieghi
corrisponde un salario medio che non supera l’equivalente di 102 euro).
L’altro approccio guarda alle questioni sociali e mette sul tavolo i dati dell’Informativa
sui diritti umani in Brasile nel 2004. Si tratta di dati spaventosi.
Quasi tutti gli indici negativi si sono mantenuti tali o sono peggiorati: diminuzione del potere d’acquisto dei salari, lavoro in condizioni di schiavitù (se la lotta alla schiavitù disponesse delle risorse adeguate si sarebbe riusciti a liberare molte più persone), violenza contro le popolazioni indigene e nei latifondi (nel 2004 venti persone sono state uccise e ci sono state 271 occupazioni, il 47% in più che nel 2003), il via libera alle coltivazioni transgeniche (su questo punto le lobby degli ogm sono riuscite a piegare il governo), l’esclusione sociale e la conseguente crescita delle favelas, la violenza generalizzata (la maggior parte degli omicidi è di giovani tra i 19 e i 25 anni), la negazione del diritto alla salute, alla casa e al lavoro, il numero crescente di bambini e adolescenti coinvolti nel narcotraffico.
Siamo in presenza di una crescita economica senza sviluppo sociale. I profitti economici non si traducono in benefici sociali, non arrivano alle grandi masse degli impoveriti e degli esclusi. La redistribuzione è un fallimento: chi già guadagnava nel sistema di speculazione finanziaria adesso guadagna molto di più. Il cambiamento necessario promesso non c’è stato. In tanti abbiamo sperato che un uomo cresciuto tra gli umiliati e gli offesi avrebbe imposto una svolta di liberazione alla politica. Lula è stato eletto con questa bandiera e quando è arrivato alla presidenza ha cambiato la sua agenda. Per questo in Brasile si arriva a parlare di "mandato tradito".
Gruppi di potere nazionali e mondiali sono riusciti ad attrarlo verso la loro logica piegandolo al modello economico neoliberista dominante. Sappiamo che chi accetta di passare per quella porta è perduto. Cosa ci fa Lula, che è stato eletto per rappresentare gli interessi dei lavoratori, tra chi prende in considerazione soltanto gli interessi del capitale?
Volete sapere cosa speravamo sinceramente? Che il presidente, con l’autorevolezza che gli viene dalla storia stessa della sua vita e per la novità che il Partito dei lavoratori al governo rappresentava, avrebbe potuto iniziare un percorso alternativo a quello neoliberista attraverso una rinegoziazione del pagamento del nostro debito estero con il Fondo monetario internazionale. Speravamo in un dialogo aperto con altri organismi che regolano il mercato. Sarebbe stato un servizio meraviglioso reso non solo al Brasile, ma a tutti i popoli sottomessi alle ricette del Fondo monetario, della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale del commercio. Con il carisma di cui Lula dispone, pensavamo, il Brasile potrà assumere queste posizioni. Speravamo che avrebbe sottomesso l’élites dominanti alle logiche delle politiche sociali perché si iniziasse a saldare il debito sociale secolare che quelle oligarchie hanno con il nostro popolo.
Nulla di tutto ciò è accaduto. Lula è restato vittima della politica conservatrice dei grandi poteri brasiliani ben descritta dallo storico José Honorio Rodriguez nel suo libro "Conciliazione e riforma in Brasile" (1965): «Le élites cercano sempre un accordo tra loro per non concedere nulla al popolo». Siamo tristi per noi stessi, perché siamo stati ingenui, perché non abbiamo accomunato la forza sufficiente per imporre una nuova strada al Paese o, forse, perché non è arrivato il momento storico per farlo o perché non siamo riusciti a creare un leader che abbia il coraggio necessario ad affrontare questa trasformazione e a realizzarla. Nonostante ciò, io ancora ho fiducia nella persona di Lula. E’ un uomo buono, mai tradirebbe i suoi sogni. Il suo passato di sofferenza è una memoria permanente.
Purtroppo crediamo che il presidente ha scelto le persone e gli strumenti inadeguati per realizzare quei sogni che continueranno a popolare l’immaginario collettivo e manterranno viva questa speranza che non accetta di morire. Un presidente carismatico può cambiare linea se sente concretamente nella propria pelle gli effetti perversi della politica economica che ha scelto, può ricordare ciò che per anni ha spiegato ai suoi compagni: il capitalismo è buono solo per i capitalisti, mai per i lavoratori. I lavoratori hanno bisogno di scelte economiche di cui non siano solo destinatari, ma anche attori.
Perché questa nuova linea economia sia inaugurata c’è bisogno di coraggio, perseveranza e disponibilità al sacrificio. Questo sarebbe il cammino di redenzione del nostro Paese dopo tanti secoli di umiliazione, sofferenza e speranza frustata. Ancora c’è tempo. E Lula può essere la persona e il leader politico all’altezza di questa sfida storica.