Home > L’IRAQ STA SCOPPIANDO
La rivolta irachena contro l’occupazione nella sua crescita fa un salto di
qualità.
Il Pentagono reagisce con un pugno di ferro assassino che rende sempre più
chiara al mondo la posizione del popolo iracheno: le forze di occupazione
sono in realtà nemici e non liberatori.
Nelle ultime 72 ore, dal momento in cui la forza coloniale ha dispiegato in
tutto il paese la sua morsa feroce, è di molto aumentato il numero dei morti
e dei feriti poiché le città irachene sono assediate e bombardate da missili
e carri armati. I combattimenti di strada si diffondono in tutto il paese.
Gli Stati Uniti, con una classica pratica coloniale, stanno creando un regno
del terrore diffuso. Infatti gli Stati Uniti ed i loro alleati stanno ora
conducendo operazioni militari a Ramadi, Baghdad, Basra, Mosul, Nasiriyah,
Sadr, Adamiya, Kufa, Kut, Karabla, Amarah, Kirkuk, Shula ed in altre città e
paesi. Soprattutto la città di Fallujah è stata presa di mira; è la stessa
città in cui, durante le prime settimane dell’occupazione le truppe
statunitensi si sono impossessati di una scuola uccidendo 15 persone che
protestavano.
L’Iraq non è precisamente il Vietnam di Gorge W.Bush. Al tempo della guerra
contro il Vietnam ci sono voluti anni perché la maggioranza del popolo e dei
soldati assumessero una posizione contraria alla guerra. Questa volta il
popolo degli Stati Uniti ha imparato in un solo anno che la guerra contro
l’Iraq è basata su totali invenzioni e bugie. Un anno dopo l’occupazione, e
anche prima, il popolo di questo paese ed i popoli del mondo sono diventati
contrari alla guerra, all’occupazione e ai guerrafondai.
Anche se si è dichiarato che si tratta di "disordini" circoscritti al
"triangolo sunnita", la rivolta si estende in realtà all’intero rettangolo
dell’Iraq comprendendo quasi tutte le zone, dal nord al sud. Negli ultimi 3
giorni il sotterraneo e montante rifiuto dell’occupazione è diventato una
rivolta su larghissima scala che si è diffusa in molte città del sud
dell’Iraq. Il tutto mentre gli Stati Uniti hanno aumentato le rappresaglie
contro il popolo di Fallujah e di altre città della parte centrale del
paese.
Nel tentativo di manipolare l’opinione pubblica i media americani continuano
a usare stereotipi razzisti per descrivere chi sta resistendo. Designare
costantemente gli iracheni come "Sunniti " o "Sciiti" è un linguaggio
attentamente calcolato per nascondere il fatto più importante: che il popolo
iracheno, sunnita e sciita pensa che il suo paese è stato conquistato da
forze di occupazione imperialiste straniere e che, come un sol uomo sta
combattendo per mandarli via.
Se un’analogia con il Vietnam ha una sua validità è in questo: i leaders
politici americani tronfi di arroganza e ubriachi di potere, erroneamente
pensano che possedere armi ad alta tecnologia sia sufficiente per soggiogare
piccoli paesi del Terzo Mondo che vogliono indipendenza e sovranità. Le
parole associate al Vietnam: "debacle", "pantano" ecc. sono certamente
adatte alla guerra di Bush e all’occupazione dell’Iraq.
Ma ci sono differenze fondamentali tra la guerra in Vietnam e quella in
Iraq. La più importante è che gli USA poterono alla fine disimpegnarsi dal
Sud-Est dell’Asia e ritirarsi dal Vietnam.
I politici che pianificano e decidono le scelte dell’impero americano sanno
benissimo che i grandi gruppi economici, militari e politici degli Stati
Uniti non si ritireranno mai volontariamente dall’Asia Occidentale e dal
Nord Africa, il Medio Oriente.
Là è dove c’è il petrolio. Nella regione del Golfo sono localizzati i 2
terzi delle riserve mondiali di petrolio. Questa regione è anche la porta
d’ingresso alle economie in rapida espansione dell’Asia orientale e
sudorientale, l’ingresso settentrionale al continente africano dall’Europa .
Qui ci sono diverse vie d’acqua strategiche: il Canale di Suez, lo Stretto
di Gibilterra, il Mar Rosso e il Golfo. Le popolazioni arabe di questa
regione -dal Nord’Africa all’Asia occidentale- sono in fermento perché
vogliono l’ unità e la piena sovranità. E’ lì che la lotta palestinese fissa
e rappresenta il sentimento popolare anticolonialista. Lì sono stati imposti
regimi fantoccio la cui esistenza dipende direttamente dagli Stati Uniti.
Nel cuore di questa regione c’è Israele, il più importante alleato e
rappresentante degli USA, una punta di lancia che richiede copertura e aiuti
politici, economici e diplomatici da parte degli USA.
Il controllo assoluto- il controllo militare- su queste risorse altamente
strategiche è la chiave per esercitare l’egemonia nell’economia mondiale
capitalista. Se gli Stati Uniti dovessero abbandonare la regione, il
Giappone, la Germania, l’Inghilterra, la Francia tenterebbero subito di
riempire il vuoto. Perciò per Bush il ritiro dall’Iraq non è una opzione
possibile e neppure per Kerry, se rimpiazzerà Bush in novembre, sarà
un’opzione possibile.
La banda di Bush ha optato per l’uso della forza militare come mezzo per
consolidare ulteriormente il potere dittatoriale USA nella regione.
L’impresa irachena era volta non solo a spezzare il governo iracheno, essa
doveva servire a scopi più ampi. Il progetto era di costruire grandi basi
militari americane in Iraq, impiantare a Baghdad la più grande ambasciata
americana del mondo, con più di 3000 persone. Usare l’Iraq come base di
partenza per cambiamenti di regime in tutta la regione, l’imposizione di una
vera Pax Americana. I precedenti governi americani, compresa
l’amministrazione Clinton, dichiararono anch’essi che il cambiamento di
regime in Iraq costituiva la massima priorità nelle relazioni tra USA e
Iraq. L’amministrazione Bush, tuttavia, ha visto l’Iraq in una prospettiva
differente: la conquista ed il possesso dell’Iraq dovevano essere il perno
strategico per la riorganizzazione a lungo termine e l’ingresso nel mercato
globale di questa regione sotto l’autorità statunitense.
Non è la prima volta che gli Stati Uniti cercano di utilizzare l’Iraq a
questo scopo. Nel 1955 gli Stati Uniti e l’Inghilterra hanno orchestrato il
Patto di Baghdad come una risposta all’emergenza del movimento dei non
allineati fondato a Bandung, in Indonesia da movimenti e nazioni in via di
decolonizzazione. Il popolo iracheno non ha mai accettato di essere una
pedina della scacchiera strategica di qualcun altro. Ha sempre fatto
resistenza al colonialismo.
Decine di migliaia di iracheni sono morti dal momento in cui il loro paese è
stato invaso e occupato. Gli avvenimenti degli ultimi giorni mostrano che
tantissimi iracheni sono così furenti e disgustati per l’occupazione del
loro paese da dare la propria vita piuttosto che accettare l’occupazione
straniera.
Molti iracheni stanno pagando con le loro vite piuttosto che essere sudditi
coloniali. Nel frattempo, giovani donne e uomini delle forze occupanti
straniere, comprese le truppe statunitensi, vogliono soltanto tornare a
casa. Essi e le loro famiglie sanno, contrariamente alle affermazioni di
Rumsfield, che il popolo iracheno non considera liberatore l’esercito
americano. Sono state poste le condizioni per una guerra imperialista che
non può essere vinta. Anche in questo senso questo conflitto è simile a
quello del Vietnam. Il popolo vietnamita era pronto a sopportare sacrifici
smisurati per riottenere il controllo del paese combattendo contro le forze
occupanti, le quali, a loro volta, volevano soltanto tornare illese dalle
loro famiglie.
Negli ultimi giorni i media americani si sono riempiti di analisi e di
storie che riflettono la grande preoccupazione presente nel ceto politico:
il progetto di Bush per l’Iraq potrebbe creare la più grande crisi
dell’imperialismo americano dal collasso dell’Unione Sovietica. Le azioni di
Bush e di Rumsfield hanno catalizzato una rivolta che sta passando da uno
stadio embrionale a una ribellione totale. Incapace di prevenire
l’espandersi della ribellione con altri mezzi, l’esercito americano sta
mettendo in atto una sanguinosa repressione contro il popolo. Essa avrà come
conseguenza quella di infiammare la situazione in Iraq ed in tutta la
regione. In queste condizioni non c’è in vista né uscita né ritiro
strategico. Anche se gli Stati Uniti riuscissero a passare l’autorità
dell’occupazione da Paul Bremmer ai suoi fantocci iracheni ben scelti, non
ci sarebbe un’uscita delle forze militari statunitensi dall’Iraq.
Persino la finta strategia di uscita sta crollando. Il Pentagono valuta la
necessità, come fece il Generale Westmoreland nel 1967, di mandare altre
migliaia di soldati per spezzare la ribellione che ha le sue radici nei
sentimenti anticoloniali di un popolo occupato. Rumsfield ha detto
pubblicamente che sta considerando l’invio di truppe addizionali in Iraq. Il
Pentagono non ha a disposizione soltanto i 130.000 e più soldati americani,
ma, secondo Nightline del 6 aprile, una forza di circa 10.000,15.000 "fucili
in affitto"-mercenari americani, inglesi e sudafricani, che stanno ora
combattendo in Iraq sotto l’eufemistica sigla di "agenti privati".
I popoli del mondo, compreso il popolo degli Stati Uniti, hanno creato negli
ultimi 18 mesi un movimento di massa senza precedenti che si oppone alla
guerra di Bush e alla conseguente occupazione dell’Iraq. In questo momento
critico è urgente andare in piazza per chiedere:
Americani fuori dall’Iraq!!
Via ora tutte le truppe!!
I soldi per il lavoro, la scuola e la sanità. Non per le guerre di
aggressione.
Da venerdì 9 aprile fino a lunedì 12 aprile ci saranno manifestazioni locali
coordinate a livello nazionali nelle città americane. Organizzate anche voi
un’azione nella vostra area locale.
Per mettere in lista la vostra azione locale, riempite il formulario: