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Recensione di Enrico Campofreda
APPUNTI
Ciò che è accaduto in Afghanistan dal 1996 sotto il regime talebano è stato terrificante. Il regista Siddiq Barmak - già presidente dell’Organizzazione Cinematografica Afgana dal 1992 all’anno del colpo di mano dei fondamentalisti islamici - tornato in patria narra una delle tante storie realmente accadute, che lui stesso ha definito "una
vicenda atroce di persone terrificate dalle loro ombre". La vita senza sbocchi di donne prigioniere d’un fanatismo religioso senza fine.
Eppure fanatismo e oppressione non sono scomparsi dopo la presunta liberazione del paese da parte dell’Occidente imperialista. Attualmente quel paese vive una situazione politico-militare di caos e faide tribali che le truppe della multiforza "vigilanti" non sanno gestire.
E una condizione culturale verso il mondo femminile che, se non riproduce le odiose pratiche talebane, impone pur sempre alle donne la subalternità integrale all’universo maschile e patriarcale. Atteggiamento tipico degli stati confessionali, oggi mussulmani, un tempo anche cristiani, senza tralasciare le altre religioni. Naturalmente l’arcaico controllo sulla vita delle donne ha riguardato un certo tipo di organizzazione sociale anche laica che, nell’età contemporanea, solo la rivoluzione industriale ha iniziato a intaccare, pur innescando ulteriori sciagure.
Barmak realizza un egregio esempio di cinema civile (ha ricevuto la Camera d’oro all’ultimo Festival di Cannes), che dovrebbe far riflettere noi occidentali su quanta strada bisogna percorrere per la vera liberazione dei popoli. Abituati come siamo dalla diffusione del terrorismo anti-occidentale a fare blocco attorno alla nostra presunta civiltà e a quegli interventi umanitari che non si occupano affatto delle condizioni di vita culturali e antropologiche delle genti "aiutate".
L’angoscia e il terrore degli occhi disperati di Osama (una bravissima Marina Golbahari che questo film ha salvato dalla deriva della strada) ci devono ricordare quanto le donne mussulmane subiscono tutt’ora in altre nazioni islamiche considerate politicamente corrette solo perché favorevoli al sistema capitalistico.
Lì le donne sono prigioniere d’un mondo fatto a misura d’uomo che conserva pratiche antiquate e disumane come la sovranità sul futuro delle spose imponendo loro matrimoni
preconfezionati (cfr. Le
cerf-volant) o la terribile castrazione del piacere dell’infibulazione e la tortura menomante della clitoridectomìa.
TRAMA
"Sotto l’arcobaleno gli uomini possono diventare donne, le donne uomini" recita un’antica favola afgana. Osama dodicenne di quel paese diventa ragazzo per aiutare la famiglia povera divenuta un gineceo (lei, la madre e la nonna) dopo che padre e zio sono morti nella guerra contro gli invasori sovietici. Quando il regime talebano impedisce alla madre di proseguire il lavoro d’infermiera presso il disastrato ospedale di Kabul per le tre donne, rinchiuse nel misero antro della propria abitazione, inizia un’indigenza assoluta. Senza l’accompagnamento d’un uomo nessuno di loro può uscire per procurarsi da mangiare, il fanatismo talebano le ha ridotte schiave e prigioniere.
Così le donne esasperate protestano, mentre la telecamera d’un reporter inglese le riprende. Nascoste sotto le burqa azzurre in migliaia fluttuano e come le onde del mare s’infrangono sulle polverose strade cittadine sino all’arrivo dei mujaheddin. Che con barbe, turbanti, armi e potenti getti d’acqua disperdono la manifestazione: la
loro misoginia è tremenda, vogliono donne disumanizzate e relegate negli antri oscuri di misere case scavate nella roccia sabbiosa. Ordinano agli uomini - mariti e fratelli - di vigilare e rinchiuderle
con lucchetti quand’essi non sono presenti.
Osama ha operato la sua metamorfosi recidendosi le trecce, simbolicamente piantate nella terra d’un vaso, e viene accompagnata dalla madre a lavorare da un conoscente, che regge il gioco per aiutare la famiglia. Il lavoro di Osama, però, non durerà. Oltre a perseguitare le donne e terrorizzare gli uomini, i talebani puntano a indottrinare i giovani maschi. Reclutano perciò forzatamente i ragazzi in età puberale per "educarli" nelle scuole coraniche.
Osama finisce con loro a recitare preghiere e attuare le pratiche della purificazione del corpo. Qui il suo aspetto androgino potrebbe non reggere di fronte alle abluzioni che nettano il peccato delle polluzioni notturne, se non fosse che il lavacro che un vecchio Mollah mostra ai ragazzi- a dimostrazione d’una sessuofobia viscerale - avviene con le pudenda celate da teli bianchi. Ma il segreto di Osama ha le ore contate: molti ragazzi la osservano, dicono che ha mani e piedi da donna. A lei risulta difficile nascondere. Non le può essere più d’aiuto neppure l’amico Espandi che, conoscendone l’identità femminile, s’era prodigato a celarla. Cercava di fugare la diceria degli altri adolescenti facendo salire Osama sugli alti rami d’un albero, poi però la ragazza non riusciva a scendere e confermava i sospetti.
Allora i talebani la infilano in un pozzo finché, a ciclo mestruale sopraggiunto, hanno la conferma del travestimento. Osama è condannata a comparire davanti al giudice insieme ad altri condannati. Mentre per un’infermiera che, aveva violato il divieto di lavorare, è predisposta la lapidazione e la fucilazione per il reporter che aveva filmato la manifestazione delle donne - condanne eseguite davanti alla popolazione maschile - Osama viene graziata perché il vecchio Mollah chiede al giudice di poterla prendere in consegna. La ragazza ha salva la vita, ma è condannata a essere ’sepolta’ nella casa del religioso insieme
alle altre sue donne lì già relegate.
Regia: Siddiq Barmak.
Soggetto e Sceneggiatura: Siddiq Barmak.
Direttore della fotografia: Ebrahim Ghafori.
Montaggio: Siddiq Barmak.
Interpreti principali: Marina Golbahari, Mohamad Nader Khajeh, Zobeydeh Sahar, Arif Herati.
Musica originale: Mohammad Reza Darvishi.
Produzione: Barmak Film/Le Brocquy Fraser
Origine: Afghanistan-Irlanda-Giappone, 2003
Durata: 1h 23’
Info Internet: Sito ufficiale
Recensioni e articoli: Sentieri
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12.04.2004
Collettivo Bellaciao