Home > Piazza Loggia: si cerca ancora la verità
Di Rossella Prestini
Verità e giustizia. Sono queste le prime parole che vengono in mente pensando alla strage di piazza della Loggia, un delitto terribile, ancora impunito, indimenticabile. Oggi, dopo trent’anni, il 28 maggio del 1974 è una ferita aperta per Brescia, è un pugno nello stomaco per tutti quelli che hanno vissuto quegli anni.
In piazza Loggia, durante una manifestazione antifascista, l’esplosione di una bomba uccise Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi e Vittorio Zambarda, ferendo anche 103 persone. Da allora i parenti delle vittime hanno costantemente cercato la verità, i presunti colpevoli hanno sempre proclamato la propria innocenza o tentato di limitare il proprio coinvolgimento. Da allora si è sempre cercato di mantenere viva la memoria di quanto accaduto, ma le indagini complesse, i tanti risvolti politici e sociali, il tempo che è comunque trascorso, fanno sì che a volte sia difficile fare un bilancio della situazione, ricostruire i fatti, le date. Noi di quiBrescia.it ci abbiamo provato (basandoci anche sui giornali dell’epoca e sul libro "Imputazione strage" di Corrado Ponzanelli), ovviamente semplificando una storia giudiziaria che dura da 30 anni (e non è ancora finita) e raccogliendo le testimonianze di chi ha vissuto quella terribile esperienza.
– "Sono molto preoccupato per il verdetto", ha detto Manlio Milani, presidente dell’Associazione dei caduti di piazza Loggia (vai alla pagina).
– "Ho visto arti amputati e persone in stato di shock, era l’apocalisse", ha detto l’infermiera Maria Chiara, che nel 1974 lavorava al pronto soccorso del Civile di Brescia (vai alla pagina).
– "Gli inquirenti sono risaliti all’identità di mio fratello Bartolomeo solamente ricostruendo la patente che hanno trovato a pezzi", ha detto Alba Talenti, sorella di una della vittime (vai alla pagina).
PRIMA DELLA STRAGE.
Si è già detto che la tragedia avvenne durante una manifestazione organizzata dal comitato permanente antifascista di Brescia per protestare contro la violenza di gruppi della destra radicale.
Dall’inizio degli Anni 70 c’erano stati diversi episodi con aggressioni e attentati ad antifascisti, operai e giovani della sinistra, culminati, nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1973, con l’esplosione di un potente ordigno al tritolo che aveva devastato la Federazione provinciale del Psi. I colpevoli vennero arrestati. Si trattava di sei giovani di Avanguardia Nazionale: Roberto Agnellini, Kim Borromeo, Danilo e Adalberto Fadini, Franco Frutti e Alessandro D’Intino che vennero processati per direttissima e condannati a tre anni di reclusione. Dopo dieci mesi, però, ottennero la libertà provvisoria e il 9 marzo 1974 a Sonico, in Valcamonica, uno di loro, Kim Borromeo, venne nuovamente arrestato con Giorgio Spedini (già della Giovane Italia e di Avanguardia Nazionale), mentre su un’auto trasportava otto chili di plastico, 364 candelotti di tritolo e cinque milioni in contanti. L’operazione venne diretta dai carabinieri di Brescia, coordinati dal capitano Delfino.
Dalle successive indagini emerse poi che la spedizione proveniva da un’officina di Segrate riferibile a Carlo Fumagalli, leader del gruppo eversivo Mar. L’inchiesta venne affidata al giudice Giovanni Arcai, che scoprì un’organizzazione con vaste ramificazioni e collegamenti. Il 9 maggio vennero catturati Fumagalli e Agnellini ma gli arresti continuarono anche dopo il 28 maggio 1974. La strage di piazza Loggia venne preceduta nella notte fra il 19 e il 20 maggio dalla morte di Silvio Ferrari, che venne maciullato dall’esplosione dell’ordigno che trasportava sulla propria motocicletta.
LE INDAGINI.
Due furono le piste d’indagine inizialmente intraprese per trovare i colpevoli della strage di piazza Loggia. La prima, bresciana, andava verso un insieme non organizzato, formato da piccoli delinquenti comuni con simpatie di destra e da un gruppo di giovani neofascisti della Brescia bene (fra cui Andrea Arcai, figlio del giudice, poi assolto). Si aprì nel 1974 e si concluse tredici anni dopo con la sentenza del 25 settembre 1987 della Cassazione, che confermò in via definitiva l’assoluzione del gruppo. Il principale imputato, Ermanno Buzzi che già era stato condannato all’ergastolo per la strage con la sentenza di primo grado, venne strangolato nel carcere di Novara da due terroristi neri, Concutelli e Tuti, alla vigilia del processo di appello.
La seconda pista venne aperta in seguito ad alcune rivelazioni di collaboratori di giustizia provenienti dall’ambiente carcerario e si focalizzò su gruppi della destra radicale milanese. Gli imputati - Fabrizio Zani, Marco Ballan, Giancarlo Rognoni, Bruno Luciano Benardelli e Marilisa Macchi - vennero definitivamente assolti dalla Corte di Cassazione il 13 novembre 1989.
L’INCHIESTA ATTUALE.
Sulla vicenda di piazza della Loggia è in corso una nuova inchiesta. Dalle testimonianze di Carlo Digilio, Martino Siciliano e altri, sembra netto il coinvolgimento del gruppo ordinovista veneto.
Proviamo ora a ricostruire alcune tappe dell’indagine, partendo dalla figura dell’ex pentito Martino Siciliano che si è costituito, rientrando in Italia dalla Francia dove si trovava come latitante, nel marzo del 2003. Era sottoposto a un programma di protezione e aveva l’obbligo di dimora in un centro dell’Appennino emiliano, ma verso la fine del novembre 2003 era fuggito in Francia, proprio pochi giorni prima dell’interrogatorio con la formula dell’incidente probatorio a cui avrebbe dovuto essere sottoposto dai giudici del tribunale di Brescia che indagano sulla carneficina.
Martino Siciliano, testimone chiave anche per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, s’era dato alla latitanza dopo che i magistrati bresciani lo avevano scarcerato per decorrenza di termini, dopo averlo arrestato per favoreggiamento di Delfo Zorzi, ex ordinovista veneto che attualmente, con il nome di Roy Hagen, è rifugiato in Giappone (dove non esiste la procedura di estradizione) ed è accusato dalla procura della nostra città di aver fornito l’esplosivo per la strage.
Da anni residente in Colombia, Siciliano era ritornato a Milano per deporre al processo di Piazza Fontana ma il giorno fissato per la testimonianza se ne era andato, scrivendo una lettera al suo legale per spiegare che il suo era un atto di protesta contro lo Stato che per la sua collaborazione gli dava ’’una miseria’’.
Come testimone era ritornato alla ribalta quando, nell’aprile del 2002, aveva fatto recapitare ai magistrati un memoriale per scagionare Delfo Zorzi e per ritrattare anche tutte le sue dichiarazioni in relazione alla strage che ha colpito la nostra città. Nel memoriale l’ex terrorista aveva scritto di essere pronto a farsi interrogare per rogatoria in Francia o in Colombia. Nel giugno del 2003, però, era arrivato il colpo di scena: i carabinieri del Ros lo avevano arrestato a Milano su ordine di custodia cautelare della magistratura bresciana. Grazie a Giuseppe Fisanotti, personaggio veronese in passato legato all’estrema destra, i magistrati, scoperto che Siciliano era tornato in Italia e non credendo a una parola del memoriale, avevano intercettato le sue conversazioni. Il pentito aveva raccontato a Fisanotti di avere ricevuto fin dal 1997 compensi da Delfo Zorzi. Aveva anche raccontato che al processo per la strage di Piazza Fontana, il 20 settembre del 2000, non si era presentato perchè Delfo Zorzi gli aveva promesso denaro così come glielo aveva promesso per il memoriale (500 mila dollari).
Una storia complicata che ha fatto finire nei guai anche i legali di Zorzi, Gaetano Pecorella e Antonio Franchini, e quello dello stesso Siciliano, Fausto Maniaci. Nelle conversazioni con Fisanotti, intercettate dai carabinieri, il pentito aveva spiegato di avere intrattenuto rapporti con i legali dell’ordinovista veneto, da molti anni diventato cittadino giapponese. Anche i legali sono stati iscritti nel registro degli indagati della Procura di Brescia con l’accusa di favoreggiamento.
Durante gli interrogatori a Siciliano, l’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Roberto Di Martino e dal sostituto Francesca Piantoni, ha cercato di capire una volta per tutte l’effettivo coinvolgimento dell’organizzazzione di estrema destra Ordine Nuovo, e i ruoli di Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi (l’ex ispettore di Ordine nuovo per il Triveneto), Giangastone Romani, Marcello Soffiati, Giovanni Melioli, Pino Rauti e Ermanno Buzzi nella triste vicenda.
Nel novembre del 2003 è arrivato il via libera da parte della Cassazione all’arresto di Zorzi, accusato dalla procura della nostra città di aver fornito l’esplosivo per la strage. In precedenza, per ben due volte, la Cassazione aveva annullato con rinvio la misura cautelare richiesta dal gip di Brescia disponendo che fossero riascoltati alcuni testi, tra i quali il coimputato Maurizio Tramonte. Solo con la sentenza 2527 la Suprema Corte ha promosso l’operato dei giudici di Brescia e i riscontri accusatori emersi dal loro lavoro. Per quanto riguarda la credibilità di Tramonte, per Piazza Loggia sono legittime le argomentazioni dei giudici bresciani che non hanno creduto alla sua ritrattazione avvenuta "improvvisamente" e dopo molti anni, attraverso un memoriale scritto in maniera "generica e parziale rispetto a quanto dichiarato in precedenza".
Così il ricorso di Zorzi è stato respinto con tanto di condanna al pagamento delle spese processuali. Per quanto riguarda la richiesta della misura cautelare da parte del gip, si legge che essa è "ampiamente e logicamente motivata in punto di pericolo di fuga, sia perché Zorzi è latitante in relazione a una specifica condanna (la strage di Piazza Fontana a Milano), sia perché il suo allontanamento dall’Italia è risalente nel tempo ed è obiettivamente predisposto ad evitare comunque la custodia cautelare in carcere’’.
Nel marzo 2004, però, la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha assolto i tre principali imputati nella stage di piazza Fontana: Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo. Ridotta da tre a un anno di reclusione la pena per Stefano Tringali, condannato per favoreggiamento.
Tratto da : http://www.quibrescia.it/stragepiazzaloggia.htm
27.05.2004
Collettivo Bellaciao
