Home > Proprietà privata e il furto delle spiagge

Proprietà privata e il furto delle spiagge

Publie le giovedì 28 aprile 2005 par Open-Publishing

Dazibao Governi

di Piero Sansonetti

Non sembra neanche un governo, sembra un comitato politico messo su in fretta per organizzare una lunga campagna elettorale. Berlusconi ieri ha tenuto alla Camera il discorso di insediamento, ma non si è neanche impegnato. Era giù di corda, triste, irritato. Dieci minuti di fredde frasi che sembravano scritte da un contabile distratto anziché da un uomo di Stato. Idee zero. Nessuna indicazione di una strada per spingere l’Italia fuori dalla crisi. Cosa si è capito delle intenzioni di questo governo? Una cosa sola: è alla disperata ricerca di soldi, di risorse, per tirare a campare qualche mese e poi lasciare la scena. Dove si trovano questi soldi? Privatizzando, vendendo quel che è rimasto nelle mani dello Stato, facendo cassa. E come si utilizzano i soldi? Un po’ per sostenere le imprese, in modo da far pace con quella parte della Confindustria, dei "poteri forti" - della borghesia italiana - che negli ultimi mesi ha voltato le spalle al centrodestra e l’ha lasciato andare alla malora fino alla disfatta elettorale di aprile. Un altro po’ di soldi dovranno finire in iniziative clientelari, per dare qualche sostanza a una campagna elettorale che rischia di diventare, altrimenti, una cerimonia funebre.

Nessuno però sa bene come condurre una vasta azione di svendita del patrimonio pubblico. Per questo hanno richiamato Giulio Tremonti, dopo neanche un anno di disgrazia: sanno che lui è l’unico che se ne intende di queste cose. E Tremonti, che ha in testa la privatizzazione dei gioielli, e cioè delle poste e dell’energia elettrica, è partito intanto con questa idea balzana di privatizzare le spiagge. Ieri è tornato un po’ indietro, ha sostenuto che l’avevano capito male e non intendeva proprio quello, quando ha detto che si potevano vendere le spiagge. Ma la sua smentita non è molto credibile. La verità è che nell’ideologia della destra italiana, nel suo progetto politico, c’è esattamente e solo questo: vendere tutto ciò che è pubblico, abolire lo stato, favorire i privati, trasformare ogni risorsa in denaro contante: sperare che la finanziarizzazione di tutta l’economia porti a un enorme aumento dei profitti e delle rendite e questo trascini il paese nel benessere.

Non c’è nient’altro nel pensiero di questa destra. La sua azione politica si basa sulla convinzione che ogni cosa è merce e ogni merce può trasformarsi in denaro liquido. I beni culturali? Denaro. Le risorse dell’ambiente? Denaro. L’acqua? Denaro. Persino i monti, i laghi, le spiagge, il mare: tutto si può vendere e riutilizzare in forma di risorsa finanziaria, che poi si investe e frutta e produce ricchezza. Ricchezza finta, non distribuibile, priva di qualunque valore sociale. Solo così, con questa cecità, si spiega la parabola tanto veloce del berlusconismo, che non è riuscito a incantare neppure la borghesia, neanche i ceti medi ricchi. Il liberismo all’italiana è troppo fragile, volatile, troppo privo di prospettiva, legato a interessi di gruppi, di famiglie, di modeste consorterie.

Purtroppo in quattro anni ha lasciato molti disastri sul terreno. Perché nella sua rozzezza ha anche avuto una qualche efficienza. Ha avviato la trasformazione dello Stato in un luogo d’affari destinato a subire la dittatura del mercato e a difendersene corrompendolo. Il centro sinistra si deve preparare a una impresa titanica. Dovrà letteralmente rovesciare questa politica. Cambiarne radicalmente lo spirito, lo scopo.

Nei giorni scorsi ogni tanto qualche giornale ha sollevato una polemica un po’ vecchia e schematica con Rifondazione comunista. Lanciando l’allarme: "Ce l’hanno con la proprietà privata, vogliono espropriare... "Già. E’ incredibile come giornali, Tv e politologi siano sempre fuori dati tempi e dalle cose. Qual è il pericolo, oggi, in Occidente: gli espropri o le svendite? Cioè il passaggio dei beni pubblici ai privati o viceversa? Qual è l’obiettivo di una riforma: la difesa dei beni comuni, e il loro ampliamento, o il furto dei beni comuni, la loro distribuzione a un pugno di speculatori, lo smantellamento della comunità? Non c’è bisogno di essere dei rivoluzionari per dare una risposta ragionevolmente di sinistra (e persino di centro).

E’ questa la questione della proprietà privata: frenare l’espansione della proprietà privata vuol dire bloccare la brama tremontiana di farla diventare l’unico strumento per regolamentare la vita civile e il funzionamento della stessa terra nella quale viviamo. E’ abbastanza urgente, se non si fa in fretta poi non resterà più nulla né da privatizzare né da espropriare...

http://www.liberazione.it/giornale/050427/LB12D6EB.asp