Home > Un 25 aprile che guarda al futuro
di Sabrina Magnani
Una lunga bandiera della pace era stata posta sulla collina antistante la Scuola
di pace di Montesole, a Marzabotto, in occasione della giornata del 25 aprile:
tra una celebrazione ufficiale e una lettura di poesie, molti bambini, tra cui
anche mio figlio, con la loro fantasia hanno trasformato quella bandiera in uno
spericolato scivolo da cui scendere divertendosi. Ho guardato mio figlio scivolare
da quell’improvvisato gioco, ho guardato gli altri bambini che pure si divertivano
da pazzi e facevano venire voglia anche a noi grandi, i genitori, di scivolarci,
sopra ma appena qualcuno di noi ci ha provato un pezzo di quella lunga bandiera
cedeva, rischiando di
lacerarsi del tutto. Il nostro posto era lì, stare vicino a loro, tenere stretta
la bandiera ed evitare che loro si facessero male scivolando troppo
velocemente.
Strana coincidenza: è quello che ho sempre pensato della pace, di cosa significa
realizzarla oggi, nel presente, ma anche di come preservarla per donarla ai nostri
figli. Noi come guardiani, attenti a eliminare gli ostacoli, di natura politica
ed economica innanzitutto, e creare le
condizioni perché si possa realizzare realmente, giorno dopo giorno, e loro a
proseguire l’opera, dando per scontato che certe situazioni non debbano
più ripetersi e affinare il lavoro, portandovi creatività per ampliarne le prospettive
e le realizzazioni.
E mentre stavo seduta a tenere quella lunga bandiera, desiderosa di gettarmi
anch’io ma sapendo che il mio ruolo era stare lì, pensavo a due cose.
La prima: il miracolo della pace. Pensare che lì, dove quei bambini si divertivano
e il sole rendeva brillante di vita nuova ogni filo d’erba del prato, qualche
decennio fa si consumò uno dei principali eccidi della seconda guerra mondiale,
ci si rende conto di cosa può una comunità, uno stato, quando si adopera per
eliminare la guerra dalle sue pratiche e tutti gli ostacoli che vi si frappongono,
lottando per la giustizia sociale e impegnando il lavoro per il benessere di
tutti. Una lezione che l’Europa uscita dalle due guerre ha imparato e che dovrebbe
saper porre a modello per altri continenti e per la stessa Europa orientale,
ponendosi come reale
alternativa di progetto politico e sociale all’unilateralismo e neoliberismo
statunitense.
La seconda: basta con tante parole sulla pace, ma fatti, fatti concreti da presentare
ai nostri bambini che quando ci interpellano vogliono risposte precise, calibrate
sul presente, e non su un futuro indefinibile che non possono prevedere. Lo ha
praticamente gridato don Luigi Ciotti al seminario di Assisi del Tavolo per la
pace. "Sono stanco di equilibrismi verbali sul
tema della pace _ esordì il sacerdote con la forza che gli è tipica _. Oggi
il "dire" deve essere sempre misurato e reso vero dal "fare" che costituisce
la prima fondamentale grammatica della giustizia. Non parole, parole, parole
ma fatti, concretezza di un vero progetto politico che oggi non c’è, fare il
segno concreto che la speranza e la giustizia è in mezzo a noi. I fatti ci interessano,
la coerenza, la continuità, perché non servono le mezze misure, i compromessi
ulteriori, perché quelle mezze misure vogliono dire morte,
vogliono dire povertà, vogliono dire ingiustizia". Ne saremo capaci di fronte
ai nostri bambini?
Da Aprileonline
27.04.2004
Collettivo Bellaciao