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Il 16 marzo del 2003, nella striscia di Gaza, l’esercito israeliano uccise a freddo una pacifista americana di 23 anni. Si chiamava Rachel Corrie, veniva dallo stato di Washington, voleva impedire la distruzione delle case dei palestinesi. Si era seduta davanti ad una di queste case per fermare il buldozer israeliano. Il buldozer non si fermò, la coprì di sabbia, la schiacciò, la uccise. Fu un omicidio volontario.
La lettera della cugina, scritta l’anno scorso...
Un anno di silenzio sulla morte di Rachel Corrie
di Elizabeth Corrie
Solo un anno fa il mese di marzo, per me come per molte altre persone, veniva associato a concetti positivi: la fine dell’inverno, l’avvento della primavera e poi dell’estate. Da quest’anno e per il resto della mia vita, l’inizio di marzo mi porterà alla mente qualcosa di completamente diverso: l’anniversario della brutale morte di mia cugina, Rachel Corrie.
Il 16 marzo 2003 un soldato israeliano e il suo comandante investivano Rachel Corrie con un Caterpillar da nove tonnellate mentre la ragazza - disarmata e chiaramente visibile grazie ad un giubbino fosforescente - proteggeva un’abitazione palestinese per impedire la sua demolizione da parte dell’esercito israeliano. La morte di Rachel Corrie, e le reazioni che sono - o non sono - seguite a questo evento rivelano verità sconcertanti, per la loro immoralità e ingiustizia.
Primo, Rachel è morta cercando di impedire la demolizione di una casa, una pratica comune in Israele e impiegata dall’esercito come punizione collettiva, che ha trasformato più di dodicimila palestinesi in senzatetto a partire dall’inizio della seconda intifada nel settembre 2000. Questa pratica viola la legge internazionale, inclusa la Quarta Convenzione di Ginevra.
Secondo, Rachel è stata travolta da un buldozer della Caterpillar, fabbricato negli Usa e inviato in Israele come parte del regolare pacchetto di aiuti statunitensi, che ammonta tra i 3 e i 4 miliardi di dollari, tutti pagati dai contribuenti americani. L’utilizzo di buldozer Caterpillar per distruggere abitazioni civili, per non parlare poi del fatto di investire attivisti per i diritti umani disarmati, viola le leggi statunitensi, tra le quali il Us Arms Export Control Act (legge sul controllo dell’esportazione delle armi) che proibisce l’uso di aiuti militari contro la popolazione civile.
Terzo, l’auto-assoluzione da parte dell’esercito israeliano per la morte di Rachel e l’opposizione condotta dallo stato di Israele ad un’indagine indipendente su questo caso rivelano sia il desiderio di Sharon di non assumersi le proprie responsabilità per la morte di una cittadina americana sia la vigliaccheria dell’amministrazione Bush nel permettere che una nazione possa impunemente attaccare suoi concittadini.
Quarto, la morte di Rachel ha costituito in realtà solo il primo di numerosi attacchi israeliani contro cittadini stranieri nella West Bank e a Gaza. Brian Avery, originario del New Mexico, è stato colpito al volto il 5 aprile; Tom Hurndall, un cittadino britannico, è stato centrato alla testa l’11 aprile ed è morto il 13 gennaio, e Hames Miller, un altro britannico, è stato colpito ed ucciso in aprile. Finora, solo nel caso di Hurndall il soldato israeliano responsabile dell’attacco verrà giudicato in tribunale, e questo perché il governo della Gran Bretagna, dopo alcuni mesi, finalmente ha riconosciuto l’evidente fondatezza delle prove presentate dalla famiglia di Hurndall.
Poiché ci avviciniamo all’anniversario della morte di Rachel, i cittadini e i residenti degli Stati Uniti dovrebbero chiedersi per quale motivo un cittadino statunitense disarmato possa essere ucciso impunemente da un soldato di una nazione alleata che riceve massicci aiuti dagli Usa, utilizzando per di più un prodotto fabbricato negli Usa da un’impresa statunitense e pagato con i soldi dei contribuenti americani. Quando tre americani furono uccisi in un’esplosione il 15 ottobre 2003, presumibilmente da palestinesi, mentre si muovevano all’interno di Gaza, l’Fbi è giunto in meno di 24 ore per investigare sulle morti. Dopo un anno, né l’Fbi né altra istituzione statunitense ha condotto alcuna indagine sulla morte di una donna americana uccisa da un israeliano.
Perché due pesi e due misure? Forse questa è la verità più sconcertante di tutte.
Elizabeth Corrie è dirigente e insegnante presso una scuola di Atlanta.
Pubblicato dall’International Herald Tribune. Traduzione di Igor Giussani