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COMPLOTTONI, COMPLOTTINI, DATECI IL NOSTRO BARNUM QUOTIDIANO

Publie le sabato 24 dicembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Economia-Budget Governi Spartacus

di Spartacus

C’è il complottone, quello dell’universo mondo contro Berlusconi, e il complottino, l’attuale impasse nautico-bancaria del presidente D’Alema, che durante il suo governo visse pure un complotto tondo ordito contro di lui per TelekomSerbia e gli aiuti umanitari fra Albania e Kossovo.

Vero? Falso? si doveva indagare poi tutto è passato in cavalleria con la classica mano che lava l’altra, e non pareva vero ai giullaroni della libera Casa del “faccio quel che cazzo mi pare” d’aiutare il collega (e che collega, l’ex piccista trinariciuto) a togliersi dalle scatole magistrati e giornalisti così da poter ricevere al momento opportuno altrettanta solidarietà. Do ut des dicevano i padri, no?

E’ vero, il mondo politico non è cambiato neppure nei simboli se lo scudo crociato incombe sempre sulle nostre teste, figurarsi nei comportamenti e nello spirito. Il politico si sente sempre super partes anche e soprattutto quando viene colto in fallo. Mostra fastidio per la notizia, si fa rosa mammola, fa finta di nulla e grida a complotti grandi e piccini.

Ora quella volpe nel deserto del parlamento italiano che è Massimo D’Alema, politico navigatissimo, non è una battuta, per la quasi quarantennale perizia di mestiere che lo rende meticoloso, tagliente, e soprattutto figlio d’una preparazione d’altri tempi quando i partiti avevano una scuola e non erano stracolmi di venditori e prestidigitatori. Dicevamo l’onorevole-presidente D’Alema - scivolato sulla buccia di banana d’un finanziamento preso da una banca che più ambigua e chiacchierata non si poteva (la Bpi di Fiorani) - scende dal pero-maestro del suo Ikarus per dire che non c’è truffa né inganno in quei denari.

Sarà. Ma perché proprio lì? Non è che come ai tempi del Caf la casta si risente intoccabile e non guarda per il sottile la provenienza dei finanziamenti pubblici e privati? Se così fosse il dottor D’Alema sembra essersi bruciato l’ultima dose d’arguzia che lo distingueva dal piattume dell’ex Pidiesse dell’ultimo Bottegone. Fa pensar male quel suo difendere ostinato l’allegro finanziere Consorte, accasato tramite l’Unipol nell’area delle Coop, che come i “furbetti del quartierino” è sospettato di operazioni tutt’altro che trasparenti.

E i Disesse che fanno? Anziché prendere le distanze da un “manager” mica tanto diverso da Ricucci, cincischiano o lo difendono. E il presidente D’Alema? pensa alla sua barchetta, che certo non è un affarone alla maniera berlusconiana ma proprio per questo diventa robetta scema e maldestra in un intrigo che ha tutto l’odore d’una prosecuzione di Tangentopoli.

E dire che già altre scivolate il lider Massimo se l’era procurate per certi vizietti: approfittare dei fitti bassi-bassi di taluni enti che gli facevano pagare mensilmente l’appartamentone di Trastevere al pari d’un mezzanino di Centocelle. All’epoca certi compagni proletari alla notizia s’incazzavano duri: “Ma come accusiamo De Mita per il suo superattico blindato e il nostro Segretario gli fa il verso?” Negletti, non capivano la sottile leggerezza dell’essenza politica, che in questi anni la Segreteria diesse fra privatizzazioni e precarizzazioni ha spiegato in tutta la sua realistica anima.
Quello che mai ci saremmo aspettati dalla stringente verve giustificatoria dalemiana è la sindrome del complotto anticomunista. Se così fosse la questione non riguarda né lui né il suo partito che da tempo per solenne dichiarazione e conseguente linea hanno cessato d’esser comunisti, abiurando l’infame trascorso e gettandolo nelle pieghe più oscure della storia.

Ma dalla geremiade delle sue interviste sfugge pur sempre il mandante. Il complottino, dottor D’Alema, chi glielo sta facendo?