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Sean Penn scrive corrispondenze pacifiste dall’IRAN e l’America si divide

Publie le domenica 28 agosto 2005 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti medio-oriente

L’attore è stato inviato a Teheran dal "San Francisco Chronicle"

L’articolo che ha fatto scandalo

Siamo entrati nel ristorante Nayed nel centro di Teheran. Io mi ero tenuto la pipì per le ore del servizio di preghiera e, dopo aver ordinato il pranzo, chiesi scusa per andare in bagno. Sulla porta sopra è scritto in farsi «Uomini» e sotto, in inglese, «Manly», maschile. Sono entrato nel bagno e mi sono rallegrato perché dovevo solo pisciare. Se avessi avuto da sbrigare faccende più serie sarebbe stato un lavoro sporco, senza nemmeno un gancio per appenderci la giacca. Veramente da maschi.

«CI PIACCIONO I VOSTRI ERRORI»

Mehdi Rafsanjani, figlio e direttore della campagna elettorale dell’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, è informale, un po’ grassoccio. Abbiamo discusso i piani nucleari dell’Iran, i diritti delle donne, il processo elettorale e la storia della tensione tra i nostri Paesi. Quasi sempre ci ha rigirato le domande che facevamo: «Voi avete meno candidati nelle elezioni di quanti ne abbiamo noi», «Anche voi sviluppate l’energia atomica». Abbiamo menzionato l’alto tasso di tumori nei pressi dei nostri impianti nucleari, dicendo che forse avevamo fatto qualche errore. Il giovane Rafsanjani ha risposto: «Ci piacciono i vostri errori». E poi: «Oggi ci sono solo quattro o cinque dissidenti in carcere», lo dice con sconcertante semplicità. «Perfino negli Usa ci sono giornalisti in prigione. E anche voi avete il vostro Consiglio dei Guardiani, sono i ricchi. Non c’è poi così tanta differenza».

IL BAZAR DOVE SI TROVA DI TUTTO

Verso gli americani c’è una grande simpatia, ma non ti dimentichi mai che solo una stretta di mano con una donna ti separa dalla galera. Un visitatore straniero è soggetto a tutte le leggi della Repubblica Islamica dell’Iran. Le gallerie del grande bazar si espandono su un’area di quasi 5 miglia. Ci sono anche numerose moschee, ma è essenzialmente un luogo di commercio. Si vendono ceramiche, argenti, prodotti di elettronica, lingerie. Ci sono gioiellieri, negozi per sposi, botteghe di statuette. Si trova perfino un libraio che espone le biografie del presidente Bush e del senatore Hillary Clinton. Il bazar è affollato, chiassoso e puzzolente. E’ stato storicamente un centro di potere economico. Essere un mercante e fare politica era la stessa cosa. L’Iran è un Paese ricco. Le sanzioni imposte dagli Usa non hanno impedito l’accesso alle merci straniere, se non per quelli che non se li possono permettere. Se vuoi una Mercedes, ti arriva attraverso un rivenditore nel Dubai. Se volete dei fiocchi Frosted Flakes, vi arrivano dalla Turchia. C’è ovviamente l’eroina dall’Afghanistan. Mentre scrivo bevo una Coca-Cola prodotta dalla sussidiaria brasiliana del colosso americano. Sugli alcolici, per non dare problemi a nessuno, dirò solo che li ho trovati. E’ stato facile ed erano buoni.

UN AMORE CHE PUO’ DIVENTARE ODIO

Nel bene e nel male, gli Stati Uniti sono un modello. Quando abbiamo polemizzato con Mehdi Rafsanjani sulle scorie nucleari iraniane, la sua unica risposta è stata: «Beh, ci sono anche in America». Non solo l’«anche in America si fa» diventa una giustificazione cieca per copiare il prelievo delle impronte digitali agli stranieri e la tecnolgia nucleare, ma è una sorta di aspirazione radicata nella cultura della nazione. L’amore per il nostro Paese è palpabile nelle strade di Teheran, come il profondo desiderio di venire ricambiati con rispetto da parte nostra. E’ cruciale per capire la psicologia dei politici iraniani, sia dei falchi che dei riformisti. Per quanto tra i nostri due Paesi non scorra buon sangue, non si può fare a meno di notare che gli iraniani amano noi e quello che sanno dell’America. Non parlo di una minoranza militante dell’odio ma, almeno per quello che mi consente la mia esperienza, degli iraniani in generale. Questo è un Paese dove più della metà della popolazione ha meno di 26 anni e questi giovani, se ne avessero l’opportunità, si muoverebbero verso una democrazia più laica. Non si tratta solo di dichiarazioni di amore fatte a un viaggiatore americano. La prova è nella conoscenza che hanno del nostro Paese e dell’eccitazione con cui ne parlano. Questo interesse non è stato mostrato a mio beneficio. Era già lì quando sono arrivato. Eppure, se gli Stati Uniti continueranno a infiammare la retorica dell’«Asse del male» o qualcosa di ancora peggiore, aumentando le sanzioni e forse lanciando un’azione militare ingiustificata, non ci sarà da meravigliarsi se una nazione eterogenea, ben portata sulla strada verso le nuove idee e la ricerca delle libertà, si trasformerà in un monolito di odio.

Fonte:www.lastampa.it
25.08.05

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